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L’avvocato Giuseppe Oppedisano opera in vari ambiti del diritto, da quello civile ed amministrativo a quello penale. 

Nel suo studio legale, sito  a Siderno (RC) via Torrente Arena 36 H,  vi aspetta per una prima consulenza, preventivo gratuito e senza impegno.

L'attività di consulenza è prestata anche in via telematica o telefonica. 
Per ogni caso sarà illustrata la normativa ed il percorso più adatto per giungere ad una serena soluzione della questione giuridica.
Eroga i propri servizi di consulenza anche a distanza, tramite un sistema di modulistica online o in videochiamata. 

Lo studio legale svolge prevalentemente l'attività nell'ambito del Distretto della Corte di Appello di Reggio Calabria, che comprende i circondari dei Tribunali di Locri, Palmi, Reggio Calabria, e presso i Distretti della Corte di Appello di Catanzaro e la Suprema Corte di Cassazione.
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Lo studio legale tratta cause civili,  penali, amministrative e tributarie, in particolare le seguenti materie:
  • Diritto civile;
  • Diritto del lavoro;
  • Diritto amministrativo;
  • Diritto delle assicurazioni;
  • Diritto immobiliare;
  • Diritto societario;
  • Diritto commerciale;
  • Diritto delle locazioni;
  • Diritto sanitario;
  • Diritto urbanistico;
  • Diritto di famiglia (separazione, divorzio, affidamento della prole);
  • in materia di eredità;
  • infortunistica e risarcimento danni;
  • Contenzioso tributario. 
Inoltre è iscritto all'Unione Camere Penali Italiane e tratta vertenze in materia di diritto penale e penale tributario. 

Preventivi gratuiti e senza impegno

Lo Studio Legale Oppedisano, prima di erogare i propri servizi, fornisce al cliente un preventivo gratuito, trasparente e dettagliato, senza impegno. 

Dopo un colloquio conoscitivo, in cui esporrete il quesito per il quale richiedete assistenza legale, l’avvocato valuterà le strade da intraprendere e insieme deciderete come agire per ottenere giustizia. 

Non è necessario muoversi da casa. Infatti lo staff, grazie alla sua preparazione multidisciplinare, eroga servizi anche a distanza, tramite mail e telefono. 

Vi basterà richiedere il modulo, sempre tramite mail o tramite il form alla pagina contatti, compilarlo, allegare eventuali documenti e, appena avrete accettato il preventivo, avrete la risposta al vostro quesito legale entro 36 ore lavorative.

Il nostro Blog

Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 03 dic, 2023
Dalle visure catastali spesso è visibile l'esistenza di un livello, ossia la concessione in godimento di un terreno a fronte del pagamento di un corrispettivo annuo. Si tratta di un istituto risalente al diritti romano e che ha avuto grande applicazione in periodo medievale. In particolare i grandi proprietari terrieri (Comune, Chiesa, Nobiltà) costituivano sui loro terreni degli oneri a favore degli affittuari. Oggi sebbene in molti atti sia constatabile, i rispettivi titolari da tempo non lo esercitano, e non ritengono di essere vincolati. Ebbene, in un'ipotesi di contestazione sulla validità dell'iscrizione, è intervenuta la Cassazione, che ha così statuito: " il regime giuridico del livello va assimilato a quello dell'enfiteusi, in quanto i due istituti, pur se originariamente distinti, finirono in prosieguo per confondersi ed unificarsi, dovendosi, pertanto, ricomprendere anche il primo, al pari della seconda, tra i diritti reali di godimento. L'esistenza del livello deve essere accertata mediante il titolo costitutivo del diritto o l'atto di ricognizione, mentre deve escludersi rilievo ai dati catastali " .
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 03 dic, 2023
Te, dei miti pensieri, La blandizie non tocca; altri cerchi le care Dolcezze onde si rallegra di bimbi il focolare, Da Tali gioe rifugge il focolare. Tu sei forte e selvaggia, come il vento che rugge Nella tua valle. Tutto hai quanto brami. Giacosa , “Il trionfo d'amore”, atto 2 scena 11, Treves 1934
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 23 nov, 2023
In ipotesi di opposizione promossa nell'esecuzione forzata che sia stata intrapresa sulla base di decreto ingiuntivo, è necessario verificare che il giudice del monitorio abbia svolto , d'ufficio, il controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all'oggetto della controversia. Detto giudice, a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell'art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d'ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d'ingiunzione e potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore. Ove l'accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un'istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l'istanza d'ingiunzione. All'esito del controllo, quindi, se rileva l'abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all'accoglimento parziale del ricorso, mentre se il controllo sull'abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell'art. 641 cpc c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione. Il decreto ingiuntivo conterrà l'avvertimento indicato dall'art. 641 c.p.c., nonché l'espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile. Nella fase esecutiva il giudice dell'esecuzione, in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito - di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo. Ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine. Dell'esito di tale controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo - informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole, con effetti sull'emesso decreto ingiuntivo. Fino alle determinazioni del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito. Laddove il debitore abbia proposto opposizione all'esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l'abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii), mentre se il debitore ha proposto un'opposizione esecutiva per far valere l'abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva - se del caso rilevando l'abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell'opposizione tardiva sull'istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.  Così, nella fase di cognizione, il giudice dell'opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., una volta investito dell'opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art.649 c.p.c., l'esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l'accertamento sull'abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale e procederà, quindi, secondo le forme di rito.
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 09 mag, 2023
Il modello di ricostruzione del nesso causale si basa sul giudizio di probabilità logica. In tema di infezioni nosocomiali, la Corte di Cassazione, Sez III 4864/2023 ha affermato che, in applicazione dei principi sul riparto dell'onere probatorio in materia di responsabilità sanitaria, secondo cui spetta al paziente provare il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre alla struttura sanitaria compete la prova di aver adempiuto esattamente la prestazione o la prova della causa imprevedibile ed inevitabile dell'impossibilità dell'esatta esecuzione, con riferimento specifico alle infezioni nosocomiali, spetterà alla struttura provare: 1) di aver adottato tutte le cautele prescritte dalle vigenti normative e dalle leges artis, al fine di prevenire l'insorgenza di patologie infettive;  2) di dimostrare di aver applicato i protocolli di prevenzione delle infezioni nel caso specifico; di tal che la relativa fattispecie non integra un'ipotesi di responsabilità oggettiva ( Cass. 11599/2020), mentre, ai fini dell'affermazione della responsabilità della struttura sanitaria, rilevano, tra l'altro, il criterio temporale - e cioè il numero di giorni trascorsi dopo le dimissioni dall'ospedale - il criterio topografico - i.e. l'insorgenza dell'infezione nel sito chirurgico interessato dall'intervento in assenza di patologie preesistenti e di cause sopravvenute eziologicamente rilevanti, da valutarsi secondo il criterio della cd. "probabilità prevalente" - e il criterio clinico - volta che, in ragione della specificità dell'infezione, sarà possibile verificare quali, tra le necessarie misure di prevenzione (sulle quali, infra, 6.1.) era necessario adottare.
Autore: 5082a141_user 17 ago, 2022
Ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, la condizione di vulnerabilità per motivi di salute richiede la valutazione se il rientro nel paese d'origine pregiudichi il diritto inviolabile alla salute a causa delle gravi carenze del sistema sanitario.
Autore: 5082a141_user 09 lug, 2022
Normalmente la servitù di passaggio con mezzi meccanici non consente la manovra di inversione di marcia sul fondo servente, salvo che tale facoltà non risulti in modo inequivoco dal titolo o non si riveli necessariamente implicita riguardo allo stato dei luoghi, perché indispensabile per l'esercizio del passaggio.
09 lug, 2022
In caso di violazione amministrativa commessa da minore degli anni diciotto, della stessa risponde, colui che era tenuto alla sorveglianza dell’incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto.
Autore: 5082a141_user 28 nov, 2021
1. Con ricorso ritualmente proposto l’Associazione C.U.O. impugna l'ordinanza indicata in epigrafe, emessa dal Responsabile del Settore 'Politiche del Territorio’ del Comune di Siderno il 3/8/2021, con la quale veniva ordinato lo sgombero dell’immobile sito in via F. Macrì n. 16, concessole in comodato d'uso gratuito ai fini della relativa destinazione a centro diurno per disabili. 1.2. L’associazione ricorrente, attiva quale onlus nel settore del volontariato con finalità di promozione dell’assistenza socio sanitaria delle persone diversamente abili, premette in fatto di aver stipulato con il Comune di Siderno in data 9/5/2018 un contratto di comodato d'uso gratuito avente ad oggetto il bene immobile in questione per destinarlo a struttura di accoglienza diurna per persone disabili. Ottenutane la materiale disponibilità provvedeva, dunque, ad avviare i lavori di ristrutturazione necessari per la messa a norma e l'accessibilità degli spazi, curando in particolare le opere volte all’eliminazione delle barriere architettoniche (scalinate e servizi), sì da rendere fruibili i locali agli utenti della struttura. Ciò nonostante con la gravata ordinanza il Comune intimava il rilascio dell’immobile entro il termine di sette giorni, adducendo a relativo fondamento la violazione delle condizioni stabilite negli artt. 5 e 6 della convezione di comodato, con particolare riferimento all’omessa trasmissione delle relazioni annuali sulle attività espletate nell’immobile nonché alla mancata voltura delle utenze, con conseguente operatività della clausola risolutiva espressa prevista nell’art. 10. 2. In punto di diritto, con una prima doglianza denuncia il "difetto assoluto di attribuzione del potere esercitato dall’amministrazione" sul rilievo, per un verso, della riconducibilità dell’immobile al patrimonio disponibile dell’ente e, per altro verso, del carattere non grave dell’inadempimento contestato. Si duole ancora della "erroneità e illegittimità dell’esercizio dei poteri pubblicistici di autotutela esecutiva, previsti dagli artt. 822, 823 c.2, 826 c. 3 c.c., carenza di potere in concreto, violazione di legge e norma pattizia sulla competenza (art. 14 contratto)", rilevando, in specie, che a fronte delle inadempienze oggetto di contestazione l’Ente avrebbe dovuto azionare la tutela civilistica prevista dall’art. 14 del contratto e non già i rimedi autoritativi in concreto esercitati, avendo le parti concordato la devoluzione al giudice ordinario di "ogni controversia sorgente dal presente contratto". Rimarcava, a tal riguardo, la natura prettamente privatistica della controversia, insorta nel corso dell’esecuzione del rapporto, confermata d'altro canto dal richiamo nell’ordinanza al rimedio contrattuale della clausola risolutiva espressa, incompatibile con la spendita di potere autoritativo, limitandosi l’Ente a rilevare l'inadempimento di obblighi "afferenti la fase esecutiva del contratto, fase in cui le parti si trovano in una relazione paritaria" (p. 5 ricorso). Con una seconda doglianza si duole della violazione delle garanzie partecipative, avendo l’Ente omesso di comunicare l'avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e ss. L. n. 241 del 1990. Ulteriori vizi, rilevanti sotto il versante della violazione di legge e dell’eccesso di potere, sarebbero ancora rintracciabili nella nullità della clausola risolutiva espressa per violazione dell’art. 1456 c.c. per genericità (III doglianza) nonché nella "scarsa importanza e lievità delle contestazioni contrattuali", avendo l’Ente del tutto omesso di considerare le condizioni in cui si trovava l'immobile all’atto della consegna, delle quali era stato peraltro messo a conoscenza con note trasmesse il 1/7/2020 e il 10/9/2020, segnalandosi anche le difficoltà connesse al completamento dei lavori ed all’avvio dell’attività di assistenza in ragione dell’emergenza pandemica (IV). Lamenta, infine, la violazione dei principi di legalità, imparzialità, buon andamento, proporzionalità e buona fede contrattuale, anche in relazione alla carenza e contraddittorietà della motivazione nonché al difetto dell’istruttoria, segnalando in particolare l'imprecisa indicazione dell’immobile oggetto di sgombero, individuato infatti nell’ordinanza con diversi riferimenti identificativi (V). Conclude, pertanto, chiedendo l'annullamento dell’ordinanza previa sospensione in via cautelare dei relativi effetti. 3. Per resistere al ricorso si è costituito il Comune di Siderno con memoria di controdeduzioni depositata il 18/9/2021, rivendicando la piena legittimità del provvedimento impugnato, tenuto conto della mancata destinazione dell’immobile, nonostante il lungo tempo trascorso dalla stipula del contratto di comodato, alle finalità per le quali lo stesso era stato assegnato all’associazione ricorrente. 4. Per mero errore depositava una memoria di costituzione in giudizio anche l’A.D.R.C., afferente tuttavia ad un diverso giudizio. 5. Alla camera di consiglio del 22/9/2021, fissata per la trattazione della domanda cautelare, il presidente del Collegio invitava le parti a interloquire, ai sensi dell’art. 73, co. 3, primo periodo, c.p.a., sul profilo della giurisdizione, rilevando una possibile causa di inammissibilità del ricorso. Dato dunque avviso ex art. 60 c.p.a. della possibile definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata, la causa veniva trattenuta in decisione. 6. Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione, esorbitando la controversia dal perimetro della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo enucleato nell’art. 133, co. 1, lett. b), c.p.a. in relazione alla materia della 'concessione di beni pubblici’, circoscritto, infatti, alle sole "controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi …". 6.1. Giova preliminarmente ricordare, in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza, che la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il c.d. petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (cfr. Cass.., sez. un., ord. 26 giugno 2019, n. 17123; Id., ord. 20 giugno 2019, n. 16536; Id., ord. 31 luglio 2018, n. 20350; cfr. anche C. St., sez. VI, 27 febbraio 2018, n. 1166). Non appare, inoltre, superfluo evidenziare l'irrilevanza del fatto che le doglianze di parte ricorrente siano dirette avverso provvedimenti amministrativi, dovendosi fare applicazione nella vicenda in esame del principio in base al quale il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si determina non già in base agli affermati vizi degli atti amministrativi e alle pronunce richieste su di esse (annullamento piuttosto che disapplicazione) bensì in relazione al carattere paritario o autoritativo del rapporto intercorrente tra privato e Amministrazione. In altri termini, la giurisdizione del giudice ordinario, con riguardo a una domanda proposta dal privato nei confronti della Pubblica Amministrazione, non può essere esclusa per il solo fatto che la domanda medesima contenga la richiesta di annullamento di un atto amministrativo, perché, ove tale richiesta si ricolleghi alla tutela di una posizione di diritto soggettivo, in considerazione della dedotta inosservanza di norme di relazione (id est, delle norme regolative del rapporto intersoggettivo tra privato e P.A.) da parte dell’Amministrazione, quella giurisdizione va affermata, fermo restando il potere del giudice ordinario di provvedere alla sola disapplicazione dell’atto amministrativo nel caso concreto (cfr.. TAR Veneto, sez. I, 25 luglio 2019, n. 890; v. altresì C. St., sez. V, 27 aprile 2015, n. 2059). 6.2. Tanto premesso, per come pacificamente riconosciuto dalla stessa parte ricorrente in sede ricorsuale, nella vicenda di specie viene in rilievo una controversia di natura squisitamente civilistica, nascente dal contestato inadempimento da parte del comodatario di talune condizioni del contratto stipulato con il Comune di Siderno il 9/5/2018 avente ad oggetto un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile dell’Ente, con conseguente ricorso da parte di quest’ultimo al rimedio contrattuale della risoluzione di diritto in forza della clausola risolutiva espressa inserita nell’accordo (art. 10). Sicché, al di là del nomen juris impressogli dall’amministrazione, al provvedimento figura del tutto estranea la spendita di poteri autoritativi, afferendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto contrattuale ed avendo agito l’Ente nell’esercizio di un potere di matrice tipicamente privatistica, sul rilievo dell’inadempimento del contraente a due specifici obblighi contrattuali assunti con la sottoscrizione dell’accordo, afferenti, in particolare, all’omessa trasmissione delle relazioni annuali sull’attività svolta nell’immobile concesso in comodato (art. 5) e all’omessa voltura delle utenze a servizio dello stesso, rimaste nella formale titolarità del comodante (art. 6). D’altro canto, anche il tenore testuale dell’atto impugnato conforta l'assunto del carattere privatistico, e non già autoritativo, dell’iniziativa assunta dall’Ente al fine di conseguire il rilascio dell’immobile, passando un tale risultato per lo scioglimento del vincolo contrattuale in forza di un rimedio espressamente previsto dalle parti nell’accordo, nell’alveo dunque di una relazione in tutta evidenza paritetica. Ed infatti, richiamati gli obblighi contrattuali asseritamente trasgrediti dal comodatario, a fondamento della risoluzione del rapporto l’Amministrazione invoca l'operatività della condizione pattuita nell’art. 10, a mente del quale "l'inadempienza da parte del comodatario di uno dei patti contenuti nell’ambito di una relazione tra le parti paritetica in questo contratto produrrà ipso iure la sua risoluzione". L’intrinseca natura della posizione sostanziale dedotta in giudizio, certamente da qualificarsi quale autentico diritto soggettivo (al mantenimento del bene oggetto del contratto di comodato) inciso da un atto assunto dalla pubblica amministrazione iure privatorum, cioè in assenza di spendita di potere autoritativo, rende dunque manifesta l'estraneità della controversia all’ambito applicativo del richiamato art. 133, co. 1, lett. b), c.p.a., rilevando esclusivamente la dimensione civilistica del postulato inadempimento contrattuale. L’atto impugnato, in definitiva, deve essere correttamente inteso non come provvedimento amministrativo autoritativo avente ad oggetto l'ordine di sgombero dell’immobile ma, piuttosto, come comunicazione dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto di comodato per inadempimento e contestuale richiesta di rilascio dell’immobile, conformemente all’orientamento giurisprudenziale a mente del quale "le controversie relative ad un ordine di sgombero di un locale di proprietà comunale facente parte del patrimonio disponibile dell’ente territoriale, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di un rapporto di matrice negoziale, da cui derivano in capo ai contraenti posizioni giuridiche paritetiche qualificabili in termini di diritto soggettivo, nel cui ambito l’Amministrazione agisce 'iure privatorum’ - al di fuori cioè dell’esplicazione di qualsivoglia potestà pubblicistica - non soltanto nella fase genetica e funzionale del rapporto, ma anche nella fase patologica, il che, più specificamente, si traduce nell’assenza di poteri autoritativi sia sul versante della chiusura del rapporto stesso, sia su quello connesso del rilascio del bene" (cfr. TAR Campobasso, sez. I, 4 ottobre 2019, n. 314). 6.3. Tali coordinate di riparto - coerenti con una lettura conforme a Costituzione della fattispecie di giurisdizione esclusiva prevista dall’art. 133, co. 1, lett. b), c.p.a. - risultano applicabili alla controversia in esame, considerato che le pretese ricorsuali, vertenti in ultima istanza sulla sussistenza delle condizioni per il legittimo esercizio da parte del Comune del diritto potestativo nascente dalla clausola risolutiva espressa inserita nell’accordo negoziale, attengono certamente alla fase esecutiva del rapporto e suppongono l'accertamento di patologie, afferenti al contratto/rapporto, che non hanno alcuna connessione con l'esercizio di poteri autoritativi da parte del Comune di Siderno, essendo piuttosto riconducibili all’inadempimento oggetto di contestazione. 7. Conclusivamente, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, innanzi al quale il giudizio potrà essere riassunto, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda originaria, ai sensi dell’art. 11 c.p.a. 8. Considerato che il merito della controversia rimane impregiudicato, sussistono i presupposti di legge per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione. T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sent., (data ud. 22/09/2021) 24/09/2021, n. 717
Autore: 5082a141_user 15 mag, 2021
La Corte di Appello di Milano, con sentenza n.1353/2021 ha condannato la casa farmaceutica per la mancata indicazione degli effetti collaterali. Il caso concerne l'assunzione dei medicinali che determinavano effetti collaterali incontrollabili, non riportati nel bugiardino, tra cui, in particolare ludopatia ed ipersessualità, e cagionavano notevoli sconvolgimenti nella vita dell’attore. Nel respingere l'appello, la Corte ha riaffermato i principi in materia di prova liberatoria di cui alla Sentenza Cass n. 6587 del 07/03/2019 “ Ai fini della prova liberatoria, idonea ad escludere la responsabilità ex art. 2050 c.c. per i danni conseguenti alla produzione e immissione in commercio di farmaci, l'impresa farmaceutica è tenuta a dimostrare di avere osservato, prima della produzione e immissione sul mercato del farmaco, i protocolli di sperimentazione previsti dalla legge, e di avere fornito un'adeguata informazione circa i possibili effetti indesiderati dello stesso, aggiornandola - se necessario - in relazione all'evoluzione della ricerca”. L'appellante assume che la comunità scientifica e le industrie farmaceutiche non potessero essere a conoscenza dei rischi prima del 2006, per l'esiguità dei casi riscontrati e che comunque, “solo dopo che il fenomeno è stato ampiamente studiato, appare evidente che la classe dei medicinali dopamino antagonisti determina una facilitazione a comportamenti compulsivi in soggetti comunque predisposti e può rappresentare un effetto indesiderato (non comune) del medicinale, ma non certo un suo effetto collaterale (cioè a dire un effetto prevedibile ineluttabile all'epoca degli studi registrativi del farmaco) o difetto” ( pag 23 appello). Trattasi infatti, a giudizio della Corte, di mera riproposizione di argomentazioni già formulate in primo grado, ritenute dal Tribunale, con una motivazione che si condivide, inidonee a dimostrare la rigorosa “osservanza di tutte le sperimentazioni ed i protocolli previsti dalla legge prima della produzione e della commercializzazione del farmaco" come richiesto dalla più giurisprudenza della Suprema Corte sopra citata, poiché genericamente dedotte.
12 apr, 2021
Nel caso di assicurazione sulla vita, l'indennità si cumula con il risarcimento, perchè si è difronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato sopportando l'onere dei premi, e l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante. Si riporta uno stralcio della suddetta sentenza. Con sentenza in data 21.4.2016 n. 207 il Tribunale di Belluno, rigettava la opposizione proposta da UNIPOLSAI Assicurazioni s.p.a. e confermava il decreto monitorio emesso in favore di S.G., quale erede del padre F. (deceduto in data (OMISSIS), essendo precipitato con l'elicottero su cui viaggiava come medico-passeggero, durante una missione di soccorso in montagna), recante condanna della predetta società al pagamento dell'intero massimale di Euro 1.113.500,00 - oltre interessi dalla domanda al saldo - previsto dalla polizza assicurativa per rischio infortuni e morte, stipulata dal vettore INAER Helicopter Italia, con Milano Assicurazioni s.p.a. (successivamente incorporata da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a.), a favore dei passeggeri ed a beneficio degli eventuali eredi. L'appello proposto da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. era parzialmente accolto dalla Corte d'appello di Venezia, con sentenza in data 28.6.2018 n. 1858. Il Giudice di seconde cure riteneva fondata la domanda risarcitoria formulata da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a, in quanto l'accordo transattivo, stipulato tra il danneggiato e Generali Seguros Espana s.a. - che assicurava la responsabilità civile verso terzi del vettore aereo -, e dalla quale lo S. aveva ricevuto la somma di Euro 450.000,00 rilasciando liberatoria, in favore di INER Helicopter Italia s.p.a., da ogni ulteriore pretesa risarcitoria avanzata anche ai sensi dell'art. 1916 c.c., aveva definitivamente pregiudicato il diritto di surrogazione di UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. verso il vettore terzo responsabile. Conseguentemente, accertato l'ammontare del danno subito da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. in misura pari all'importo che era stato corrisposto al danneggiato dall'assicuratore spagnolo del terzo civilmente responsabile, ed escludendo l'applicabilità al caso di specie della "compensatio lucri cum damno", il Giudice di appello ha condannato lo S. a risarcire alla società assicurativa l'importo di Euro 450.000,00 oltre interessi legali dalla data dell'atto di transazione al saldo, provvedendo a regolare le spese dell'intero giudizio. Sostiene il ricorrente principale che la Corte territoriale, affermando il diritto di surrogazione della società assicurativa, avrebbe erroneamente applicato al contratto di assicurazione "contro gli infortuni (anche) mortali", la disciplina propria del contratto di assicurazione "contro i danni", non tenendo conto che, nella bipartizione funzionale del tipo negoziale prevista dal codice civile - tra assicurazione con causa indennitaria di tipo risarcitorio ed assicurazione con causa previdenziale e di risparmio: art. 1882 c.c. -, l'art. 1916 c.c., comma 4, collocato sotto il Capo XX nella Sezione II, intitolata "Dell'assicurazione contro i danni", limitava la estensione delle disposizioni di cui ai precedenti commi del medesimo articolo esclusivamente alle "assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali". Pertanto soltanto alle assicurazioni che coprivano tali rischi, e cioè, più esattamente, alle assicurazioni contro gli "infortuni non mortali", poteva trovare applicazione il "principio indennitario" (art. 1910 c.c., comma 3 e art. 1916 c.c., comma 1), e non anche alle assicurazioni "contro gli infortuni mortali" che rimanevano assoggettate, invece, alla disciplina delle "assicurazioni sulla vita" ed in particolare all'art. 1920 c.c., comma 3, norma che, distinguendo tra assicurato e terzo beneficiario, sottraeva quest'ultimo alla sfera di incidenza diretta delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'infortunio, attribuendogli per effetto della "designazione" - effettuata o nella stipula della polizza a suo favore, ovvero nella dichiarazione successiva comunicata all'Assicuratore, o ancora nel testamento - un diritto di credito "proprio" a ricevere la somma prevista in contratto al verificarsi dell'evento-infortunio mortale. 3.2 Il motivo è fondato. La questione della collocazione sistematica, nell'ambito della dicotomia del tipo negoziale disciplinata dal Codice civile (e precipue dall'art . 1882 c.c., che distingue tra causa indennitaria, obbligandosi l'Assicuratore a "rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro "; e causa di capitalizzazione o risparmio - id est di investimento finanziario -, obbligandosi l'Assicuratore "a pagare un capitale od una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana" ), dei contratti di assicurazione infortuni invalidanti o mortali , è risalente ed è stata oggetto di ampio dibattito, avendo fornito le contrapposte opinioni dottrinali argomenti a sostegno e decise critiche, rispettivamente, a favore od a sfavore dell'assimilazione di tale polizza a quelle relative al "rischio-danni", ovvero a quelle relative al "rischio-vita". La giurisprudenza di legittimità, dopo un iniziale propensione - determinata soprattutto dalla considerazione della natura del "bene vita" compromesso dall'evento-rischio infortunio - alla inclusione della fattispecie negoziale nel tipo dei contratti di "assicurazione sulla vita", è venuta, successivamente, ad accentuare progressivamente l'elemento della funzione solidaristica, che emergeva dalla rilevazione della prassi, in quanto il capitale attribuito ai beneficiari-familiari, interveniva molto spesso a soccorrere alle loro esigenze e necessità di sostentamento, insorte a seguito dell'infortunio mortale del congiunto che costituiva l'unica fonte di reddito della famiglia. La valorizzazione di tale aspetto "riparatorio" del "danno" subito dai superstiti-beneficiari, assolto in tali casi dalla prestazione dell'Assicuratore (seppure in modo soltanto indiretto: non trovando corrispondenza il capitale ed il criterio della sua determinazione al momento del pagamento, nella effettiva entità del "danno" corrispondente al valore di mercato od ai valori tabellari, ai quali commisurare il danno di un bene perduto) ha portato vieppiù ad accostare la figura contrattuale in questione alla disciplina propria delle assicurazioni "contro i danni", ovvero anche a procedere "caso per caso" nella individuazione delle norme, relative alle due differenti tipologie negoziali di cui all'art. 1882 c.c., ritenute applicabili od invece escluse dalla regolamentazione dei rapporti assicurativi concernenti il "rischio-infortuni". I contrasti sono insorti, in particolare, in ordine alla applicazione o meno a tali contratti del "principio cd. indennitario", proprio della disciplina delle "assicurazioni contro i danni" (e che trova chiara espressione - ma non solo: art. 1905 c.c., comma 1, art. 1909 c.c., comma 2 - nell'art. 1910 c.c., comma 3), secondo cui l'assicurato non può locupletare dall'adempimento della obbligazione indennitaria dell'Assicuratore - quando anche avesse pattuito un massimale più elevato - un risultato che lo ponga in una situazione patrimoniale più vantaggiosa di quella in cui versava precedentemente alla verificazione dell'evento-rischio, non potendo in ogni caso eccedere l'indennizzo pagato dall'Assicuratore il valore patrimoniale del bene perduto a seguito dell'evento dannoso. Principio indennitario che trova applicazione pure nel caso in cui plurimi obbligati siano tenuti, anche per titoli diversi, ad adempiere, nei confronti dello stesso soggetto danneggiato, alla obbligazione risarcitoria del medesimo danno: unico essendo, infatti, il danno da risarcire, le prestazioni per equivalente eseguite dai singoli obbligati non potranno eccedere cumulativamente il valore patrimoniale corrispondente alla perdita subita. Questa Corte, chiamata a risolvere la questione della applicabilità alle polizze infortuni dell'art. 1910 c.c., nel comporre il contrasto giurisprudenziale, è quindi pervenuta ad affermare che i contratti di assicurazione infortuni "invalidanti e mortali", rivelano la presenza di caratteristiche ambivalenti, in quanto riconducibili a quelle proprie di ciascuna delle categorie generali del "ramo danni" e del "ramo vita" (Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 5119 del 10/04/2002: evidenzia la difficoltà di collocare sistematicamente la polizza infortuni in una delle due categorie previste dall'art. 1882 c.c., relative al "danno ad esso (ndr. assicurato) prodotto da un sinistro" ed "al verificarsi di un evento attinente alla vita umana", in quanto "la definizione normativa, che si ricollega alla tradizionale bipartizione delle assicurazioni, poichè nella prima parte si riferisce all'assicurazione contro i danni e nella seconda all'assicurazione sulla vita, consente di affermare che la prima, in quanto considera il danno prodotto all'assicurato ("ad esso prodotto"), senza ulteriori precisazioni, non è solo assicurazione di cose o di patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persona dell'assicurato per effetto di infortunio, così caratterizzandosi (anche) come assicurazione di persone, e, per altro verso, che l'assicurazione sulla vita non esaurisce l'ambito delle assicurazioni di persone, inglobando anche l'assicurazione contro gli infortuni, poichè la disgrazia accidentale (non produttiva di morte) non costituisce evento attinente alla vita umana, tale essendo solo la morte, bensì evento attinente alla persona.."), ciò che non consente, pertanto, di individuare nella fattispecie negoziale in questione (polizza infortuni), un "contratto cd. misto" regolato dalle norme del tipo prevalente, non soccorrendo a dirigere la scelta di prevalenza la mera identificazione del "rischio" per mezzo della nozione di "infortunio", inteso anche come "disgrazia accidentale" e cioè, secondo una definizione ormai tralatizia e consolidata, come un evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produce lesioni fisiche oggettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza la morte, una invalidità permanente oppure una inabilità temporanea della persona. La oggettiva inapplicabilità del criterio di prevalenza della disciplina del tipo negoziale, ha quindi imposto di ravvisare nella "assicurazione contro gli infortuni" la compresenza di distinte cause negoziali contenute in un unico contratto, dovendosi al proposito distinguere, nell'ambito della medesima polizza, l'infortunio produttivo di "menomazione invalidante" della persona, da ricondurre allo schema della polizza assicurativa "contro i danni", da quello, invece, dal quale è derivato l'"evento letale", da assoggettare alla disciplina tipica delle "polizze vita" (stipulate per il "caso vita" o per il "caso morte"), in quanto anche nella assicurazione infortuni mortali "viene in considerazione un rischio che è tipico dell'assicurazione sulla vita: il rischio assicurato, ancorchè collegato ad una specifica causa (l'infortunio), è infatti pur sempre costituito dalla morte, e cioè da un evento attinente alla vita umana, e non alla persona, come l'infortunio invalidante. Inoltre, beneficiario dell'indennizzo non è l'assicurato, sul quale incide l'evento morte, ma un terzo, come nell'assicurazione sulla vita..."). Il criterio discretivo fornito dalla sentenza delle Sezioni Unite si incentra, pertanto, sulla individuazione del diverso bene attinto dall'evento-rischio "infortunio", dovendo tenersi distinto il "bene-vita" dal "bene-salute", nonchè dal differente interesse che conduce l'assicurato alla stipula della polizza, avuto riguardo anche alla direzione soggettiva della prestazione cui è tenuto l'assicuratore, non essendo invece possibile desumere dalla sola caratteristica del fenomeno lesivo-infortunio in sè considerato ("evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna") alcuna utile indicazione in ordine alla scelta della disciplina normativa codicistica del tipo negoziale da applicare all'assicurazione degli infortuni (anche) mortali. 3.3 Le conclusioni raggiunte dalla sentenza del 2002 delle Sezioni Unite, che distingue tra "infortunio-morte" (lesione della vita) ed "infortunio-invalidità biologica" (lesione della salute), non sono state, peraltro, disattese o poste in discussione dalla successiva disciplina dettata dal Codice delle Assicurazioni Private, approvato con D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che, all'art. 2, distingue i rami assicurativi, riconducibili rispettivamente alle "assicurazioni sulla vita" ed alle "assicurazioni contro i danni". " Deve essere condiviso il principio affermato da questa Corte secondo cui "nel caso di assicurazione sulla vita, l'indennità si cumula con il risarcimento, perchè si è difronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato sopportando l'onere dei premi, e l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante" (Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 12564 del 22/05/2018, in motivazione, paragr. 3.7, - seguita dalle conformi sentenze nn. 1265-1267 pubblicate tutte nella stessa data - che ha escluso la detraibilità, dal risarcimento del danno patrimoniale, del valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall'Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terz o; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 15870 del 13/06/2019, id. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26647 del 18/10/2019 che, ai fini del diffalco, richiedono anche la coincidenza delle voci di danno risarcite). 3.8 Da tali premesse consegue la risoluzione della questione sottoposta all'esame del Collegio: se infatti l'assicuratore del "ramo vita" con l'adempiere alla obbligazione derivante dalla polizza, attribuendo la somma prevista - in forma di capitale o rendita - al beneficiario, non soddisfa alcun credito risarcitorio vantato da quest'ultimo neì confronti del terzo responsabile del danno, prescindendo la prestazione dell'assicuratore dalla esistenza e dalla entità del pregiudizio subito dal beneficiario derivante dall'atto illecito, viene meno la stessa possibilità di attuazione del meccanismo surrogatorio, non essendo l'assicuratore chiamato ad adempiere "a causa" dell'illecito, ma "a causa" dell'evento della morte dell'assicurato, e cioè della verificazione del rischio oggetto della polizza. Ed infatti: a) l'assicurazione contro gli infortuni mortali, deve ricondursi al tipo negoziale della assicurazione sulla vita, in relazione alla quale non trovano applicazione le norme che disciplinano l'assicurazione "contro i danni" (in cui invece debbono ricomprendersi le polizze infortuni non mortali), tra cui l'art. 1916 c.c.; b) la polizza in esame risulta essere stata stipulata dal contraente INAER sulla vita degli assicurati, venendo soddisfatto l'interessi di questi ad attribuire, in caso di decesso derivato da infortunio, un capitale ai soggetti designati come beneficiari; c) la funzione causale evidenziata dalla polizza prescinde da ogni collegamento tra la prestazione dovuta dall'assicuratore al verificarsi dell'evento-rischio, ed un preesistente fatto illecito produttivo di un danno risarcibile cagionato ai soggetti beneficiari, risultando inapplicabile, pertanto, il "principio cd. indennitario" che informa la disciplina delle assicurazioni del ramo danni (artt. 1905, 1910, 1914 e 1916 c.c.) e di cui è espressione il principio della cd. "compensatio lucri cum damno"; d) la assenza di una funzione cd. indennitaria, non ravvisabile nella prestazione erogata al beneficiario dalla società UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a., e dunque la mancanza di sovrapponibilità, totale o parziale, di detta prestazione con la diversa prestazione risarcitoria dovuta al danneggiato da INAER, esclude nella specie, in difetto di applicazione delle disposizioni di cui all'art. 1916 c.c., non estendibili al di fuori dei rapporti assicurativi concernenti il "ramo danni", che con l'adempimento dell'obbligazione prevista in polizza a favore del beneficiario si sia realizzato un meccanismo di tipo surrogatorio, non essendo subentrata la società assicurativa nel credito del danneggiato avente titolo nell'illecito che continua a gravare per l'intero sull'autore del danno indipendentemente dalle vicende connesse alla attuazione del rapporto assicurativo derivante da polizza contro gli infortuni mortali, regolata dalla disciplina normativa delle assicurazioni del "ramo vita"; e) attesa la totale autonomia del rapporto assicurativo tra UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. ed il beneficiario, rispetto al rapporto concernente la responsabilità civile tra gli eredi del de cuius ed INAER, ne segue che la stipula dell'atto di transazione tra i danneggiati e l'autore del danno non ha integrato alcuna lesione del diritto di surrogazione, non potendo derivare dall'atto transattivo con effetti liberatori del debitore alcuna responsabilità del beneficiario ai sensi dell'art. 1916 c.c., comma 3.
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