Permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.

Ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, la condizione di vulnerabilità per motivi di salute richiede la valutazione se il rientro nel paese d'origine pregiudichi il diritto inviolabile alla salute a causa delle gravi carenze del sistema sanitario.

La Cassazione civile, sez. 1, con la sentenza 24133/2022, ha accolto il ricorso di una persona straniera richiedente per motivi di salute la protezione internazionale umanitaria .


Il sig. Emilimor ha dichiarato di essere nato e vissuto a Ubobo, città dell’Edo State (Nigeria), di essere di etnia orobo e di professare la religione cristiana, di aver studiato per sei anni e di aver lavorato come piastrellista, nonché di aver lasciato il suo Paese in data 12.05.2015 a causa delle persecuzioni subite e delle ritorsioni temute.

Nello specifico, il ricorrente ha raccontato di essere stato avvisato un giorno da un suo amico che suo padre si trovava a bordo di una strada ubriaco, cosicché, per riportare a casa il genitore, il sig. Emilimor si era fatto aiutare dall'amico e da un uomo che si trovava vicino a loro;

che tuttavia, una volta entrati nella macchina del passante, il ricorrente e il suo amico si erano addormentati e, quando si erano risvegliati, si erano trovati in una stanza con le mani e i piedi legati;

 che dopo essersi accertato dell'assenza di controlli di Forze dell'Ordine lungo la strada, il rapitore aveva condotto il ricorrente, il suo amico e suo padre in un luogo della foresta dove si stava svolgendo un rito woodoo, cui partecipavano cinque uomini (quattro vestiti di rosso e uno di bianco), e sette ragazze;

 che, iniziato il rituale, il padre e l'amico, assieme a cinque delle sette ragazze, erano stati legati su tavoli a forma di tronchi d'albero per essere usati come vittime sacrificali, venendo successivamente mutilati e uccisi dagli uomini vestiti di rosso;

che, terminata la cerimonia, il ricorrente e le due giovani rimaste in vita erano stati trasportati legati in una stanza, ma durante la notte, uno dei carcerieri aveva slegato una ragazza nel tentativo di abusarne;

che tuttavia la giovane era riuscita a colpire la guardia e a liberare il ricorrente e la sua amica;

che, abbandonato in fretta il luogo del sequestro, il sig. Emilimor e le due ragazze erano scappati nella foresta, ma erano stati raggiunti dai 3 membri della setta che hanno ucciso le due giovani;

che, scampato alla prigionia e all'inseguimento, il ricorrente era riuscito ad arrivare ad Abuja grazie all'aiuto di un camionista che transitava in quei luoghi, il quale, erudito di tutto l’accaduto, aveva consigliato al sig. Emilimor di denunciare alla polizia gli assassini di suo padre e del suo amico;

 che, temendo di essere ucciso, l'appellante ha deciso di espatriare e di venire in Italia.

La Commissione territoriale di Crotone ha negato la protezione internazionale anche in forma sussidiaria e umanitaria ed anche il Tribunale di Crotone ha rigettato il pedissequo ricorso.

 Il ricorrente ha proposto appello dinanzi alla Corte di Appello di Catanzaro e con sentenza del 4 febbraio 2020 anche l’appello è stato rigettato.

Il Ministero si è costituito tardivamente al dichiarato fine di una sua eventuale partecipazione all’udienza di discussione orale.

Questa Corte con ordinanza interlocutoria n. 21949/2021 del 6 luglio 2021, constatando che il ricorso intercetta la questione, tutt’ora aperta all’interno della giurisprudenza della Suprema Corte, relativa alle modalità di deduzione del vizio di violazione del dovere di cooperazione istruttoria con particolare riferimento alla possibilità:

- che i documenti C.O.I. possano essere introdotti per la prima volta nel giudizio di legittimità in deroga all’art. 372 cod.proc.civ.;

- che la parte possa limitarsi ad una mera allegazione «vestita» delle fonti alternative

 -che nelle competenze della Corte rientrino anche i controlli sull’effettiva esistenza e concreto contenuto delle predette fonti informative, ha rinviato a nuovo ruolo in attesa della pronuncia della prima sezione in udienza pubblica sui temi indicati.

Il Procuratore Generale ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso.

                                          RAGIONI DELLA DECISIONE

 Il ricorrente deduce:

1.Violazione art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ., Violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Violazione artt. 3 D.lgs. n. 251/2007  con riferimento ai profili di credibilità. Violazione artt. 8, 10 D.lgs. n. 25/2008 per inottemperanza dell’obbligo di cooperazione istruttoria.

La Corte di Appello avrebbe ritenuto non credibile il racconto del ricorrente senza aver formulato alcuna domanda specifica di approfondimento o chiarimento violando il diritto all’ascolto del richiedente asilo.

 La vicenda, inoltre, doveva essere approfondita attraverso indagini istruttorie autonome e alla luce del contesto sociale del Paese d’origine ove è verosimile l’attività di stregoneria e di culto settario.

1.1 Il motivo è inammissibile.

La Corte ha valutato la credibilità intrinseca del racconto del richiedente asilo che, se non è positiva, rende irrilevante la cooperazione istruttoria a carico del Giudicante ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato.

Nel lamentare il mancato inquadramento della vicenda nella situazione generale del suo Paese di origine, il ricorrente non considera che il giudizio negativo in ordine alla credibilità soggettiva del richiedente, espresso in conformità dei criteri stabiliti dall’art. 3 D.lgs. n. 251/2007, risulta di per sé sufficiente a dispensare il giudice dal compimento di approfondimenti officiosi in ordine alla situazione del Paese di origine, ai fini dell'accertamento delle fattispecie di cui agli artt. 7 e 14, lett. a) e b) D.lgs. n. 251/2007, non trovando applicazione in tal caso il dovere di cooperazione istruttoria previsto dall’ art. 8, comma 3, D.lgs. n. 25/2008, il quale non opera laddove, come nella specie, sia stato proprio il richiedente a declinare, con una versione dei fatti inaffidabile o inattendibile, la volontà di cooperare, quanto meno in relazione all'allegazione affidabile degli stessi (cfr., Cass., n. 16925/2020; Cass., n. 15794/2019; Cass., n. 16925/2018).

 Tale principio opera in particolare con riferimento ai casi di esclusione della credibilità intrinseca della narrazione offerta dal richiedente asilo alla luce di riscontrate contraddizioni, lacune e incongruenze, che esclude la necessità di procedere al controllo della credibilità estrinseca - che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale, religioso e politico del Paese di provenienza, desumibile dalla consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito - poiché tale controllo assolverebbe alla funzione meramente teorica di accreditare la mera possibilità astratta di eventi non provati riferiti in modo assolutamente non convincente dal richiedente. (Cass., n. 24575/2020; Cass., n. 6738/2021).

 Nella fattispecie, a pagina 5 della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha escluso proprio l’intrinseca credibilità del racconto reso dal sig. Emilimor, sia per la sua genericità e la sua carenza di dettagli circostanziati, sia per le gravi incongruenze colte nel racconto dell’episodio del rapimento e delle vicende successive.


2. Violazione art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ. - Violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Violazione degli artt. 2-14 comma 1, lett. b) e c) D.lgs. n.251/2007 con riferimento alla protezione sussidiaria.

 Anche ai fini della protezione sussidiaria la Corte di appello non avrebbe svolto integrazione istruttoria ufficiosa, nonostante i numerosi report esibiti che confermavano il clima di corruzione fra gli agenti di polizia e in generale nei servizi pubblici. Nella decisione emergono informazioni sulle fonti non specifiche e non dettagliate sul periodo di riferimento.

2.1 Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la mancata cooperazione istruttoria anche relativamente alla sua richiesta di protezione sussidiaria individualizzata [art.14, lettera b) d.lgs.251/2007] con specifico riferimento alle minacce provenienti dai cultori dei riti esoterici, prospettati come “agenti non statuali” ex art.5, comma 1, lettera c), d.lgs.251/2007 contro le quali le autorità statuali nigeriane non vorrebbero o non potrebbero fornire protezione. Anche questa censura non può essere condivisa per le stesse ragioni esposte con riferimento al primo motivo e cioè perché l’obbligo di cooperazione presuppone un preventivo accertamento di credibilità intrinseca del narrato che è stata motivatamente esclusa dal giudice del merito. 

 V’è da aggiungere, per completezza, che il richiamo all’art.14, lettera c), d.lgs.251/2007, contenuto in rubrica, è privo di qualsiasi esplicazione nell’ambito dell’illustrazione del motivo che non indica l’esistenza di un conflitto armato interno capace di esporre tutti i cittadini a un rischio indiscriminato di esposizione alla violenza.

 Infatti, in piena conformità alla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, secondo questa Corte, in tema di protezione sussidiaria, ex art. 14, lett. c) del d.lgs. n. 251 del 2007, il conflitto armato interno, tale da comportare minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile, ricorre in situazioni in cui le forze armate governative di uno Stato si scontrino con uno o più gruppi armati antagonisti, o nelle quali due o più gruppi armati si contendano tra loro il controllo militare di un dato territorio, purchè il conflitto ascenda ad un grado di violenza indiscriminata talmente intenso ed imperversante da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nella regione di provenienza corra il rischio descritto nella norma per la sua sola presenza sul territorio, tenuto conto dell'impiego di metodi e tattiche di combattimento che incrementano il rischio per i civili, o direttamente mirano ai civili; della diffusione, tra le parti in conflitto, di tali metodi o tattiche; della generalizzazione o, invece, localizzazione del combattimento; del numero di civili uccisi, feriti, sfollati a causa del combattimento (Cass., n. 5675/2021).

 Nulla di tutto ciò viene prospettato nell’ambito del secondo motivo.


3.Violazione art. 360, comma 1, n. 3, cpc. Violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Violazione dell'art. 5, comma 6, d.lgs. n.286/1998; art. 32 d.lgs. n. 25/2008. Mancata comparazione tra integrazione sociale e situazione personale del richiedente.

Nella valutazione del riconoscimento della protezione umanitaria la Corte non ha ritenuto la sufficienza dell’attività lavorativa come elemento significante l’integrazione effettiva del richiedente nel nostro Paese. In tale direzione, però, non ha considerato comparativamente la situazione di violazione sistematica e grave dei diritti umani esistenti nel Paese di origine che impedirebbero al ricorrente di condurre un’esistenza atta a soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale. Non ha considerato in alcun modo la situazione di salute del richiedente

3.1 La censura non è fondata quanto alla prospettata integrazione sociale e lavorativa in Italia, valutata ed esclusa in concreto dalla Corte territoriale (pag.5, 3° capoverso) con un accertamento di fatto inammissibilmente contestato nel merito, peraltro con riferimento a un attestato di conoscenza linguistica della lingua italiana di primissimo livello (A1) e a una mera attività di volontariato estivo nel 2017.

La censura è invece fondata con riferimento alla problematica sanitaria allegata dal ricorrente e all’epatite cronica attiva da lui documentata.

La Corte non ha valutato la documentazione sanitaria (doc. a-k) prodotta in secondo grado ed esibita in allegato al ricorso e non ha svolto alcuna indagine tesa a valutare se la patologia accertata possa ricevere nel Paese di origine adeguate cure e trattamenti specialistici che attualmente consentono al ricorrente di controllare la malattia. E‘ mancata quindi la necessaria valutazione se il rientro possa pregiudicare le condizioni e il diritto inviolabile alla salute del ricorrente.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie (nella disciplina di cui all'art. 5, comma 6, d.lgs. n. 286 del 1998, applicabile "ratione temporis"), la condizione di vulnerabilità per motivi di salute richiede, alla luce della giurisprudenza unionale (CGUE, 24 aprile 2018, in causa C-353/16), l'accertamento della gravità della patologia, la necessità ed urgenza delle cure nonché la presenza di gravi carenze del sistema sanitario del paese di provenienza. (Cass., n. 17118/2020; Cass., n. 15322/ 2020; Cass., n. 13765/2020).



4. Sulla base delle motivazioni espresse la Corte accoglie il terzo motivo, rigetta il secondo e dichiara inammissibile il primo.

                                                                            P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, rigettati i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Catanzaro, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.


Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 03 dic, 2023
Dalle visure catastali spesso è visibile l'esistenza di un livello, ossia la concessione in godimento di un terreno a fronte del pagamento di un corrispettivo annuo. Si tratta di un istituto risalente al diritti romano e che ha avuto grande applicazione in periodo medievale. In particolare i grandi proprietari terrieri (Comune, Chiesa, Nobiltà) costituivano sui loro terreni degli oneri a favore degli affittuari. Oggi sebbene in molti atti sia constatabile, i rispettivi titolari da tempo non lo esercitano, e non ritengono di essere vincolati. Ebbene, in un'ipotesi di contestazione sulla validità dell'iscrizione, è intervenuta la Cassazione, che ha così statuito: " il regime giuridico del livello va assimilato a quello dell'enfiteusi, in quanto i due istituti, pur se originariamente distinti, finirono in prosieguo per confondersi ed unificarsi, dovendosi, pertanto, ricomprendere anche il primo, al pari della seconda, tra i diritti reali di godimento. L'esistenza del livello deve essere accertata mediante il titolo costitutivo del diritto o l'atto di ricognizione, mentre deve escludersi rilievo ai dati catastali " .
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 03 dic, 2023
Te, dei miti pensieri, La blandizie non tocca; altri cerchi le care Dolcezze onde si rallegra di bimbi il focolare, Da Tali gioe rifugge il focolare. Tu sei forte e selvaggia, come il vento che rugge Nella tua valle. Tutto hai quanto brami. Giacosa , “Il trionfo d'amore”, atto 2 scena 11, Treves 1934
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 23 nov, 2023
In ipotesi di opposizione promossa nell'esecuzione forzata che sia stata intrapresa sulla base di decreto ingiuntivo, è necessario verificare che il giudice del monitorio abbia svolto , d'ufficio, il controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all'oggetto della controversia. Detto giudice, a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell'art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d'ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d'ingiunzione e potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore. Ove l'accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un'istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l'istanza d'ingiunzione. All'esito del controllo, quindi, se rileva l'abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all'accoglimento parziale del ricorso, mentre se il controllo sull'abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell'art. 641 cpc c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione. Il decreto ingiuntivo conterrà l'avvertimento indicato dall'art. 641 c.p.c., nonché l'espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile. Nella fase esecutiva il giudice dell'esecuzione, in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito - di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo. Ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine. Dell'esito di tale controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo - informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole, con effetti sull'emesso decreto ingiuntivo. Fino alle determinazioni del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito. Laddove il debitore abbia proposto opposizione all'esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l'abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii), mentre se il debitore ha proposto un'opposizione esecutiva per far valere l'abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva - se del caso rilevando l'abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell'opposizione tardiva sull'istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.  Così, nella fase di cognizione, il giudice dell'opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., una volta investito dell'opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art.649 c.p.c., l'esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l'accertamento sull'abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale e procederà, quindi, secondo le forme di rito.
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