Autore: 5082a141_user
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28 novembre 2021
1. Con ricorso ritualmente proposto l’Associazione C.U.O. impugna l'ordinanza indicata in epigrafe, emessa dal Responsabile del Settore 'Politiche del Territorio’ del Comune di Siderno il 3/8/2021, con la quale veniva ordinato lo sgombero dell’immobile sito in via F. Macrì n. 16, concessole in comodato d'uso gratuito ai fini della relativa destinazione a centro diurno per disabili. 1.2. L’associazione ricorrente, attiva quale onlus nel settore del volontariato con finalità di promozione dell’assistenza socio sanitaria delle persone diversamente abili, premette in fatto di aver stipulato con il Comune di Siderno in data 9/5/2018 un contratto di comodato d'uso gratuito avente ad oggetto il bene immobile in questione per destinarlo a struttura di accoglienza diurna per persone disabili. Ottenutane la materiale disponibilità provvedeva, dunque, ad avviare i lavori di ristrutturazione necessari per la messa a norma e l'accessibilità degli spazi, curando in particolare le opere volte all’eliminazione delle barriere architettoniche (scalinate e servizi), sì da rendere fruibili i locali agli utenti della struttura. Ciò nonostante con la gravata ordinanza il Comune intimava il rilascio dell’immobile entro il termine di sette giorni, adducendo a relativo fondamento la violazione delle condizioni stabilite negli artt. 5 e 6 della convezione di comodato, con particolare riferimento all’omessa trasmissione delle relazioni annuali sulle attività espletate nell’immobile nonché alla mancata voltura delle utenze, con conseguente operatività della clausola risolutiva espressa prevista nell’art. 10. 2. In punto di diritto, con una prima doglianza denuncia il "difetto assoluto di attribuzione del potere esercitato dall’amministrazione" sul rilievo, per un verso, della riconducibilità dell’immobile al patrimonio disponibile dell’ente e, per altro verso, del carattere non grave dell’inadempimento contestato. Si duole ancora della "erroneità e illegittimità dell’esercizio dei poteri pubblicistici di autotutela esecutiva, previsti dagli artt. 822, 823 c.2, 826 c. 3 c.c., carenza di potere in concreto, violazione di legge e norma pattizia sulla competenza (art. 14 contratto)", rilevando, in specie, che a fronte delle inadempienze oggetto di contestazione l’Ente avrebbe dovuto azionare la tutela civilistica prevista dall’art. 14 del contratto e non già i rimedi autoritativi in concreto esercitati, avendo le parti concordato la devoluzione al giudice ordinario di "ogni controversia sorgente dal presente contratto". Rimarcava, a tal riguardo, la natura prettamente privatistica della controversia, insorta nel corso dell’esecuzione del rapporto, confermata d'altro canto dal richiamo nell’ordinanza al rimedio contrattuale della clausola risolutiva espressa, incompatibile con la spendita di potere autoritativo, limitandosi l’Ente a rilevare l'inadempimento di obblighi "afferenti la fase esecutiva del contratto, fase in cui le parti si trovano in una relazione paritaria" (p. 5 ricorso). Con una seconda doglianza si duole della violazione delle garanzie partecipative, avendo l’Ente omesso di comunicare l'avvio del procedimento ai sensi degli artt. 7 e ss. L. n. 241 del 1990. Ulteriori vizi, rilevanti sotto il versante della violazione di legge e dell’eccesso di potere, sarebbero ancora rintracciabili nella nullità della clausola risolutiva espressa per violazione dell’art. 1456 c.c. per genericità (III doglianza) nonché nella "scarsa importanza e lievità delle contestazioni contrattuali", avendo l’Ente del tutto omesso di considerare le condizioni in cui si trovava l'immobile all’atto della consegna, delle quali era stato peraltro messo a conoscenza con note trasmesse il 1/7/2020 e il 10/9/2020, segnalandosi anche le difficoltà connesse al completamento dei lavori ed all’avvio dell’attività di assistenza in ragione dell’emergenza pandemica (IV). Lamenta, infine, la violazione dei principi di legalità, imparzialità, buon andamento, proporzionalità e buona fede contrattuale, anche in relazione alla carenza e contraddittorietà della motivazione nonché al difetto dell’istruttoria, segnalando in particolare l'imprecisa indicazione dell’immobile oggetto di sgombero, individuato infatti nell’ordinanza con diversi riferimenti identificativi (V). Conclude, pertanto, chiedendo l'annullamento dell’ordinanza previa sospensione in via cautelare dei relativi effetti. 3. Per resistere al ricorso si è costituito il Comune di Siderno con memoria di controdeduzioni depositata il 18/9/2021, rivendicando la piena legittimità del provvedimento impugnato, tenuto conto della mancata destinazione dell’immobile, nonostante il lungo tempo trascorso dalla stipula del contratto di comodato, alle finalità per le quali lo stesso era stato assegnato all’associazione ricorrente. 4. Per mero errore depositava una memoria di costituzione in giudizio anche l’A.D.R.C., afferente tuttavia ad un diverso giudizio. 5. Alla camera di consiglio del 22/9/2021, fissata per la trattazione della domanda cautelare, il presidente del Collegio invitava le parti a interloquire, ai sensi dell’art. 73, co. 3, primo periodo, c.p.a., sul profilo della giurisdizione, rilevando una possibile causa di inammissibilità del ricorso. Dato dunque avviso ex art. 60 c.p.a. della possibile definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata, la causa veniva trattenuta in decisione. 6. Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione, esorbitando la controversia dal perimetro della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo enucleato nell’art. 133, co. 1, lett. b), c.p.a. in relazione alla materia della 'concessione di beni pubblici’, circoscritto, infatti, alle sole "controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi …". 6.1. Giova preliminarmente ricordare, in linea con il consolidato orientamento della giurisprudenza, che la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il c.d. petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche e soprattutto in funzione della causa petendi, ossia della intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti costituiscono manifestazione (cfr. Cass.., sez. un., ord. 26 giugno 2019, n. 17123; Id., ord. 20 giugno 2019, n. 16536; Id., ord. 31 luglio 2018, n. 20350; cfr. anche C. St., sez. VI, 27 febbraio 2018, n. 1166). Non appare, inoltre, superfluo evidenziare l'irrilevanza del fatto che le doglianze di parte ricorrente siano dirette avverso provvedimenti amministrativi, dovendosi fare applicazione nella vicenda in esame del principio in base al quale il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo si determina non già in base agli affermati vizi degli atti amministrativi e alle pronunce richieste su di esse (annullamento piuttosto che disapplicazione) bensì in relazione al carattere paritario o autoritativo del rapporto intercorrente tra privato e Amministrazione. In altri termini, la giurisdizione del giudice ordinario, con riguardo a una domanda proposta dal privato nei confronti della Pubblica Amministrazione, non può essere esclusa per il solo fatto che la domanda medesima contenga la richiesta di annullamento di un atto amministrativo, perché, ove tale richiesta si ricolleghi alla tutela di una posizione di diritto soggettivo, in considerazione della dedotta inosservanza di norme di relazione (id est, delle norme regolative del rapporto intersoggettivo tra privato e P.A.) da parte dell’Amministrazione, quella giurisdizione va affermata, fermo restando il potere del giudice ordinario di provvedere alla sola disapplicazione dell’atto amministrativo nel caso concreto (cfr.. TAR Veneto, sez. I, 25 luglio 2019, n. 890; v. altresì C. St., sez. V, 27 aprile 2015, n. 2059). 6.2. Tanto premesso, per come pacificamente riconosciuto dalla stessa parte ricorrente in sede ricorsuale, nella vicenda di specie viene in rilievo una controversia di natura squisitamente civilistica, nascente dal contestato inadempimento da parte del comodatario di talune condizioni del contratto stipulato con il Comune di Siderno il 9/5/2018 avente ad oggetto un bene immobile facente parte del patrimonio disponibile dell’Ente, con conseguente ricorso da parte di quest’ultimo al rimedio contrattuale della risoluzione di diritto in forza della clausola risolutiva espressa inserita nell’accordo (art. 10). Sicché, al di là del nomen juris impressogli dall’amministrazione, al provvedimento figura del tutto estranea la spendita di poteri autoritativi, afferendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto contrattuale ed avendo agito l’Ente nell’esercizio di un potere di matrice tipicamente privatistica, sul rilievo dell’inadempimento del contraente a due specifici obblighi contrattuali assunti con la sottoscrizione dell’accordo, afferenti, in particolare, all’omessa trasmissione delle relazioni annuali sull’attività svolta nell’immobile concesso in comodato (art. 5) e all’omessa voltura delle utenze a servizio dello stesso, rimaste nella formale titolarità del comodante (art. 6). D’altro canto, anche il tenore testuale dell’atto impugnato conforta l'assunto del carattere privatistico, e non già autoritativo, dell’iniziativa assunta dall’Ente al fine di conseguire il rilascio dell’immobile, passando un tale risultato per lo scioglimento del vincolo contrattuale in forza di un rimedio espressamente previsto dalle parti nell’accordo, nell’alveo dunque di una relazione in tutta evidenza paritetica. Ed infatti, richiamati gli obblighi contrattuali asseritamente trasgrediti dal comodatario, a fondamento della risoluzione del rapporto l’Amministrazione invoca l'operatività della condizione pattuita nell’art. 10, a mente del quale "l'inadempienza da parte del comodatario di uno dei patti contenuti nell’ambito di una relazione tra le parti paritetica in questo contratto produrrà ipso iure la sua risoluzione". L’intrinseca natura della posizione sostanziale dedotta in giudizio, certamente da qualificarsi quale autentico diritto soggettivo (al mantenimento del bene oggetto del contratto di comodato) inciso da un atto assunto dalla pubblica amministrazione iure privatorum, cioè in assenza di spendita di potere autoritativo, rende dunque manifesta l'estraneità della controversia all’ambito applicativo del richiamato art. 133, co. 1, lett. b), c.p.a., rilevando esclusivamente la dimensione civilistica del postulato inadempimento contrattuale. L’atto impugnato, in definitiva, deve essere correttamente inteso non come provvedimento amministrativo autoritativo avente ad oggetto l'ordine di sgombero dell’immobile ma, piuttosto, come comunicazione dell’avvenuta risoluzione di diritto del contratto di comodato per inadempimento e contestuale richiesta di rilascio dell’immobile, conformemente all’orientamento giurisprudenziale a mente del quale "le controversie relative ad un ordine di sgombero di un locale di proprietà comunale facente parte del patrimonio disponibile dell’ente territoriale, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di un rapporto di matrice negoziale, da cui derivano in capo ai contraenti posizioni giuridiche paritetiche qualificabili in termini di diritto soggettivo, nel cui ambito l’Amministrazione agisce 'iure privatorum’ - al di fuori cioè dell’esplicazione di qualsivoglia potestà pubblicistica - non soltanto nella fase genetica e funzionale del rapporto, ma anche nella fase patologica, il che, più specificamente, si traduce nell’assenza di poteri autoritativi sia sul versante della chiusura del rapporto stesso, sia su quello connesso del rilascio del bene" (cfr. TAR Campobasso, sez. I, 4 ottobre 2019, n. 314). 6.3. Tali coordinate di riparto - coerenti con una lettura conforme a Costituzione della fattispecie di giurisdizione esclusiva prevista dall’art. 133, co. 1, lett. b), c.p.a. - risultano applicabili alla controversia in esame, considerato che le pretese ricorsuali, vertenti in ultima istanza sulla sussistenza delle condizioni per il legittimo esercizio da parte del Comune del diritto potestativo nascente dalla clausola risolutiva espressa inserita nell’accordo negoziale, attengono certamente alla fase esecutiva del rapporto e suppongono l'accertamento di patologie, afferenti al contratto/rapporto, che non hanno alcuna connessione con l'esercizio di poteri autoritativi da parte del Comune di Siderno, essendo piuttosto riconducibili all’inadempimento oggetto di contestazione. 7. Conclusivamente, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, innanzi al quale il giudizio potrà essere riassunto, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda originaria, ai sensi dell’art. 11 c.p.a. 8. Considerato che il merito della controversia rimane impregiudicato, sussistono i presupposti di legge per disporre l'integrale compensazione delle spese di lite tra le parti. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Sezione Staccata di Reggio Calabria, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione. T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sent., (data ud. 22/09/2021) 24/09/2021, n. 717