Assicurazione. Polizza vita. Sinistro mortale. Indennizzo e risarcimento danni. Diritti del Beneficiario.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza del 8 aprile 2021 n.9380, hanno affermato la cumulabilità fra l'indennità di polizza e il risarcimento del danno, escludendo l'azione di rivalsa dell'assicuratore.

Nel caso di assicurazione sulla vita, l'indennità si cumula con il risarcimento, perchè si è difronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato sopportando l'onere dei premi, e l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante.

Si riporta uno stralcio della suddetta sentenza.

Con sentenza in data 21.4.2016 n. 207 il Tribunale di Belluno, rigettava la opposizione proposta da UNIPOLSAI Assicurazioni s.p.a. e confermava il decreto monitorio emesso in favore di S.G., quale erede del padre F. (deceduto in data (OMISSIS), essendo precipitato con l'elicottero su cui viaggiava come medico-passeggero, durante una missione di soccorso in montagna), recante condanna della predetta società al pagamento dell'intero massimale di Euro 1.113.500,00 - oltre interessi dalla domanda al saldo - previsto dalla polizza assicurativa per rischio infortuni e morte, stipulata dal vettore INAER Helicopter Italia, con Milano Assicurazioni s.p.a. (successivamente incorporata da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a.), a favore dei passeggeri ed a beneficio degli eventuali eredi.

L'appello proposto da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. era parzialmente accolto dalla Corte d'appello di Venezia, con sentenza in data 28.6.2018 n. 1858.

Il Giudice di seconde cure  riteneva fondata la domanda risarcitoria formulata da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a, in quanto l'accordo transattivo, stipulato tra il danneggiato e Generali Seguros Espana s.a. - che assicurava la responsabilità civile verso terzi del vettore aereo -, e dalla quale lo S. aveva ricevuto la somma di Euro 450.000,00 rilasciando liberatoria, in favore di INER Helicopter Italia s.p.a., da ogni ulteriore pretesa risarcitoria avanzata anche ai sensi dell'art. 1916 c.c., aveva definitivamente pregiudicato il diritto di surrogazione di UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. verso il vettore terzo responsabile. Conseguentemente, accertato l'ammontare del danno subito da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. in misura pari all'importo che era stato corrisposto al danneggiato dall'assicuratore spagnolo del terzo civilmente responsabile, ed escludendo l'applicabilità al caso di specie della "compensatio lucri cum damno", il Giudice di appello ha condannato lo S. a risarcire alla società assicurativa l'importo di Euro 450.000,00 oltre interessi legali dalla data dell'atto di transazione al saldo, provvedendo a regolare le spese dell'intero giudizio.

Sostiene il ricorrente principale che la Corte territoriale, affermando il diritto di surrogazione della società assicurativa, avrebbe erroneamente applicato al contratto di assicurazione "contro gli infortuni (anche) mortali", la disciplina propria del contratto di assicurazione "contro i danni", non tenendo conto che, nella bipartizione funzionale del tipo negoziale prevista dal codice civile - tra assicurazione con causa indennitaria di tipo risarcitorio ed assicurazione con causa previdenziale e di risparmio: art. 1882 c.c. -, l'art. 1916 c.c., comma 4, collocato sotto il Capo XX nella Sezione II, intitolata "Dell'assicurazione contro i danni", limitava la estensione delle disposizioni di cui ai precedenti commi del medesimo articolo esclusivamente alle "assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali". Pertanto soltanto alle assicurazioni che coprivano tali rischi, e cioè, più esattamente, alle assicurazioni contro gli "infortuni non mortali", poteva trovare applicazione il "principio indennitario" (art. 1910 c.c., comma 3 e art. 1916 c.c., comma 1), e non anche alle assicurazioni "contro gli infortuni mortali" che rimanevano assoggettate, invece, alla disciplina delle "assicurazioni sulla vita" ed in particolare all'art. 1920 c.c., comma 3, norma che, distinguendo tra assicurato e terzo beneficiario, sottraeva quest'ultimo alla sfera di incidenza diretta delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'infortunio, attribuendogli per effetto della "designazione" - effettuata o nella stipula della polizza a suo favore, ovvero nella dichiarazione successiva comunicata all'Assicuratore, o ancora nel testamento - un diritto di credito "proprio" a ricevere la somma prevista in contratto al verificarsi dell'evento-infortunio mortale.

3.2 Il motivo è fondato.

La questione della collocazione sistematica, nell'ambito della dicotomia del tipo negoziale disciplinata dal Codice civile (e precipue dall'art. 1882 c.c., che distingue tra causa indennitaria, obbligandosi l'Assicuratore a "rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro"; e causa di capitalizzazione o risparmio - id est di investimento finanziario -, obbligandosi l'Assicuratore "a pagare un capitale od una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana"), dei contratti di assicurazione infortuni invalidanti o mortali, è risalente ed è stata oggetto di ampio dibattito, avendo fornito le contrapposte opinioni dottrinali argomenti a sostegno e decise critiche, rispettivamente, a favore od a sfavore dell'assimilazione di tale polizza a quelle relative al "rischio-danni", ovvero a quelle relative al "rischio-vita".

La giurisprudenza di legittimità, dopo un iniziale propensione - determinata soprattutto dalla considerazione della natura del "bene vita" compromesso dall'evento-rischio infortunio - alla inclusione della fattispecie negoziale nel tipo dei contratti di "assicurazione sulla vita", è venuta, successivamente, ad accentuare progressivamente l'elemento della funzione solidaristica, che emergeva dalla rilevazione della prassi, in quanto il capitale attribuito ai beneficiari-familiari, interveniva molto spesso a soccorrere alle loro esigenze e necessità di sostentamento, insorte a seguito dell'infortunio mortale del congiunto che costituiva l'unica fonte di reddito della famiglia. La valorizzazione di tale aspetto "riparatorio" del "danno" subito dai superstiti-beneficiari, assolto in tali casi dalla prestazione dell'Assicuratore (seppure in modo soltanto indiretto: non trovando corrispondenza il capitale ed il criterio della sua determinazione al momento del pagamento, nella effettiva entità del "danno" corrispondente al valore di mercato od ai valori tabellari, ai quali commisurare il danno di un bene perduto) ha portato vieppiù ad accostare la figura contrattuale in questione alla disciplina propria delle assicurazioni "contro i danni", ovvero anche a procedere "caso per caso" nella individuazione delle norme, relative alle due differenti tipologie negoziali di cui all'art. 1882 c.c., ritenute applicabili od invece escluse dalla regolamentazione dei rapporti assicurativi concernenti il "rischio-infortuni".

I contrasti sono insorti, in particolare, in ordine alla applicazione o meno a tali contratti del "principio cd. indennitario", proprio della disciplina delle "assicurazioni contro i danni" (e che trova chiara espressione - ma non solo: art. 1905 c.c., comma 1, art. 1909 c.c., comma 2 - nell'art. 1910 c.c., comma 3), secondo cui l'assicurato non può locupletare dall'adempimento della obbligazione indennitaria dell'Assicuratore - quando anche avesse pattuito un massimale più elevato - un risultato che lo ponga in una situazione patrimoniale più vantaggiosa di quella in cui versava precedentemente alla verificazione dell'evento-rischio, non potendo in ogni caso eccedere l'indennizzo pagato dall'Assicuratore il valore patrimoniale del bene perduto a seguito dell'evento dannoso. Principio indennitario che trova applicazione pure nel caso in cui plurimi obbligati siano tenuti, anche per titoli diversi, ad adempiere, nei confronti dello stesso soggetto danneggiato, alla obbligazione risarcitoria del medesimo danno: unico essendo, infatti, il danno da risarcire, le prestazioni per equivalente eseguite dai singoli obbligati non potranno eccedere cumulativamente il valore patrimoniale corrispondente alla perdita subita.

Questa Corte, chiamata a risolvere la questione della applicabilità alle polizze infortuni dell'art. 1910 c.c., nel comporre il contrasto giurisprudenziale, è quindi pervenuta ad affermare che i contratti di assicurazione infortuni "invalidanti e mortali", rivelano la presenza di caratteristiche ambivalenti, in quanto riconducibili a quelle proprie di ciascuna delle categorie generali del "ramo danni" e del "ramo vita" (Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 5119 del 10/04/2002: evidenzia la difficoltà di collocare sistematicamente la polizza infortuni in una delle due categorie previste dall'art. 1882 c.c., relative al "danno ad esso (ndr. assicurato) prodotto da un sinistro" ed "al verificarsi di un evento attinente alla vita umana", in quanto "la definizione normativa, che si ricollega alla tradizionale bipartizione delle assicurazioni, poichè nella prima parte si riferisce all'assicurazione contro i danni e nella seconda all'assicurazione sulla vita, consente di affermare che la prima, in quanto considera il danno prodotto all'assicurato ("ad esso prodotto"), senza ulteriori precisazioni, non è solo assicurazione di cose o di patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persona dell'assicurato per effetto di infortunio, così caratterizzandosi (anche) come assicurazione di persone, e, per altro verso, che l'assicurazione sulla vita non esaurisce l'ambito delle assicurazioni di persone, inglobando anche l'assicurazione contro gli infortuni, poichè la disgrazia accidentale (non produttiva di morte) non costituisce evento attinente alla vita umana, tale essendo solo la morte, bensì evento attinente alla persona.."), ciò che non consente, pertanto, di individuare nella fattispecie negoziale in questione (polizza infortuni), un "contratto cd. misto" regolato dalle norme del tipo prevalente, non soccorrendo a dirigere la scelta di prevalenza la mera identificazione del "rischio" per mezzo della nozione di "infortunio", inteso anche come "disgrazia accidentale" e cioè, secondo una definizione ormai tralatizia e consolidata, come un evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produce lesioni fisiche oggettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza la morte, una invalidità permanente oppure una inabilità temporanea della persona. La oggettiva inapplicabilità del criterio di prevalenza della disciplina del tipo negoziale, ha quindi imposto di ravvisare nella "assicurazione contro gli infortuni" la compresenza di distinte cause negoziali contenute in un unico contratto, dovendosi al proposito distinguere, nell'ambito della medesima polizza, l'infortunio produttivo di "menomazione invalidante" della persona, da ricondurre allo schema della polizza assicurativa "contro i danni", da quello, invece, dal quale è derivato l'"evento letale", da assoggettare alla disciplina tipica delle "polizze vita" (stipulate per il "caso vita" o per il "caso morte"), in quanto anche nella assicurazione infortuni mortali "viene in considerazione un rischio che è tipico dell'assicurazione sulla vita: il rischio assicurato, ancorchè collegato ad una specifica causa (l'infortunio), è infatti pur sempre costituito dalla morte, e cioè da un evento attinente alla vita umana, e non alla persona, come l'infortunio invalidante. Inoltre, beneficiario dell'indennizzo non è l'assicurato, sul quale incide l'evento morte, ma un terzo, come nell'assicurazione sulla vita...").

Il criterio discretivo fornito dalla sentenza delle Sezioni Unite si incentra, pertanto, sulla individuazione del diverso bene attinto dall'evento-rischio "infortunio", dovendo tenersi distinto il "bene-vita" dal "bene-salute", nonchè dal differente interesse che conduce l'assicurato alla stipula della polizza, avuto riguardo anche alla direzione soggettiva della prestazione cui è tenuto l'assicuratore, non essendo invece possibile desumere dalla sola caratteristica del fenomeno lesivo-infortunio in sè considerato ("evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna") alcuna utile indicazione in ordine alla scelta della disciplina normativa codicistica del tipo negoziale da applicare all'assicurazione degli infortuni (anche) mortali.

3.3 Le conclusioni raggiunte dalla sentenza del 2002 delle Sezioni Unite, che distingue tra "infortunio-morte" (lesione della vita) ed "infortunio-invalidità biologica" (lesione della salute), non sono state, peraltro, disattese o poste in discussione dalla successiva disciplina dettata dal Codice delle Assicurazioni Private, approvato con D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che, all'art. 2, distingue i rami assicurativi, riconducibili rispettivamente alle "assicurazioni sulla vita" ed alle "assicurazioni contro i danni".
"Deve essere condiviso il principio affermato da questa Corte secondo cui "nel caso di assicurazione sulla vita, l'indennità si cumula con il risarcimento, perchè si è difronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato sopportando l'onere dei premi, e l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante" (Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 12564 del 22/05/2018, in motivazione, paragr. 3.7, - seguita dalle conformi sentenze nn. 1265-1267 pubblicate tutte nella stessa data - che ha escluso la detraibilità, dal risarcimento del danno patrimoniale, del valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall'Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 15870 del 13/06/2019, id. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26647 del 18/10/2019 che, ai fini del diffalco, richiedono anche la coincidenza delle voci di danno risarcite).
3.8 Da tali premesse consegue la risoluzione della questione sottoposta all'esame del Collegio: se infatti l'assicuratore del "ramo vita" con l'adempiere alla obbligazione derivante dalla polizza, attribuendo la somma prevista - in forma di capitale o rendita - al beneficiario, non soddisfa alcun credito risarcitorio vantato da quest'ultimo neì confronti del terzo responsabile del danno, prescindendo la prestazione dell'assicuratore dalla esistenza e dalla entità del pregiudizio subito dal beneficiario derivante dall'atto illecito, viene meno la stessa possibilità di attuazione del meccanismo surrogatorio, non essendo l'assicuratore chiamato ad adempiere "a causa" dell'illecito, ma "a causa" dell'evento della morte dell'assicurato, e cioè della verificazione del rischio oggetto della polizza.

Ed infatti: a) l'assicurazione contro gli infortuni mortali, deve ricondursi al tipo negoziale della assicurazione sulla vita, in relazione alla quale non trovano applicazione le norme che disciplinano l'assicurazione "contro i danni" (in cui invece debbono ricomprendersi le polizze infortuni non mortali), tra cui l'art. 1916 c.c.; b) la polizza in esame risulta essere stata stipulata dal contraente INAER sulla vita degli assicurati, venendo soddisfatto l'interessi di questi ad attribuire, in caso di decesso derivato da infortunio, un capitale ai soggetti designati come beneficiari; c) la funzione causale evidenziata dalla polizza prescinde da ogni collegamento tra la prestazione dovuta dall'assicuratore al verificarsi dell'evento-rischio, ed un preesistente fatto illecito produttivo di un danno risarcibile cagionato ai soggetti beneficiari, risultando inapplicabile, pertanto, il "principio cd. indennitario" che informa la disciplina delle assicurazioni del ramo danni (artt. 1905, 1910, 1914 e 1916 c.c.) e di cui è espressione il principio della cd. "compensatio lucri cum damno"; d) la assenza di una funzione cd. indennitaria, non ravvisabile nella prestazione erogata al beneficiario dalla società UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a., e dunque la mancanza di sovrapponibilità, totale o parziale, di detta prestazione con la diversa prestazione risarcitoria dovuta al danneggiato da INAER, esclude nella specie, in difetto di applicazione delle disposizioni di cui all'art. 1916 c.c., non estendibili al di fuori dei rapporti assicurativi concernenti il "ramo danni", che con l'adempimento dell'obbligazione prevista in polizza a favore del beneficiario si sia realizzato un meccanismo di tipo surrogatorio, non essendo subentrata la società assicurativa nel credito del danneggiato avente titolo nell'illecito che continua a gravare per l'intero sull'autore del danno indipendentemente dalle vicende connesse alla attuazione del rapporto assicurativo derivante da polizza contro gli infortuni mortali, regolata dalla disciplina normativa delle assicurazioni del "ramo vita"; e) attesa la totale autonomia del rapporto assicurativo tra UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. ed il beneficiario, rispetto al rapporto concernente la responsabilità civile tra gli eredi del de cuius ed INAER, ne segue che la stipula dell'atto di transazione tra i danneggiati e l'autore del danno non ha integrato alcuna lesione del diritto di surrogazione, non potendo derivare dall'atto transattivo con effetti liberatori del debitore alcuna responsabilità del beneficiario ai sensi dell'art. 1916 c.c., comma 3.
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 03 dic, 2023
Dalle visure catastali spesso è visibile l'esistenza di un livello, ossia la concessione in godimento di un terreno a fronte del pagamento di un corrispettivo annuo. Si tratta di un istituto risalente al diritti romano e che ha avuto grande applicazione in periodo medievale. In particolare i grandi proprietari terrieri (Comune, Chiesa, Nobiltà) costituivano sui loro terreni degli oneri a favore degli affittuari. Oggi sebbene in molti atti sia constatabile, i rispettivi titolari da tempo non lo esercitano, e non ritengono di essere vincolati. Ebbene, in un'ipotesi di contestazione sulla validità dell'iscrizione, è intervenuta la Cassazione, che ha così statuito: " il regime giuridico del livello va assimilato a quello dell'enfiteusi, in quanto i due istituti, pur se originariamente distinti, finirono in prosieguo per confondersi ed unificarsi, dovendosi, pertanto, ricomprendere anche il primo, al pari della seconda, tra i diritti reali di godimento. L'esistenza del livello deve essere accertata mediante il titolo costitutivo del diritto o l'atto di ricognizione, mentre deve escludersi rilievo ai dati catastali " .
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 03 dic, 2023
Te, dei miti pensieri, La blandizie non tocca; altri cerchi le care Dolcezze onde si rallegra di bimbi il focolare, Da Tali gioe rifugge il focolare. Tu sei forte e selvaggia, come il vento che rugge Nella tua valle. Tutto hai quanto brami. Giacosa , “Il trionfo d'amore”, atto 2 scena 11, Treves 1934
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 23 nov, 2023
In ipotesi di opposizione promossa nell'esecuzione forzata che sia stata intrapresa sulla base di decreto ingiuntivo, è necessario verificare che il giudice del monitorio abbia svolto , d'ufficio, il controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all'oggetto della controversia. Detto giudice, a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell'art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d'ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d'ingiunzione e potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore. Ove l'accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un'istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l'istanza d'ingiunzione. All'esito del controllo, quindi, se rileva l'abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all'accoglimento parziale del ricorso, mentre se il controllo sull'abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell'art. 641 cpc c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione. Il decreto ingiuntivo conterrà l'avvertimento indicato dall'art. 641 c.p.c., nonché l'espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile. Nella fase esecutiva il giudice dell'esecuzione, in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell'abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell'assegnazione del bene o del credito - di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull'esistenza e/o sull'entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo. Ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine. Dell'esito di tale controllo sull'eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo - informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l'eventuale abusività delle clausole, con effetti sull'emesso decreto ingiuntivo. Fino alle determinazioni del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito. Laddove il debitore abbia proposto opposizione all'esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l'abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii), mentre se il debitore ha proposto un'opposizione esecutiva per far valere l'abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l'opposizione tardiva - se del caso rilevando l'abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all'assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell'opposizione tardiva sull'istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.  Così, nella fase di cognizione, il giudice dell'opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., una volta investito dell'opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art.649 c.p.c., l'esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l'accertamento sull'abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale e procederà, quindi, secondo le forme di rito.
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