Assicurazione. Polizza vita. Sinistro mortale. Indennizzo e risarcimento danni. Diritti del Beneficiario.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza del 8 aprile 2021 n.9380, hanno affermato la cumulabilità fra l'indennità di polizza e il risarcimento del danno, escludendo l'azione di rivalsa dell'assicuratore.

Nel caso di assicurazione sulla vita, l'indennità si cumula con il risarcimento, perchè si è difronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato sopportando l'onere dei premi, e l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante.

Si riporta uno stralcio della suddetta sentenza.

Con sentenza in data 21.4.2016 n. 207 il Tribunale di Belluno, rigettava la opposizione proposta da UNIPOLSAI Assicurazioni s.p.a. e confermava il decreto monitorio emesso in favore di S.G., quale erede del padre F. (deceduto in data (OMISSIS), essendo precipitato con l'elicottero su cui viaggiava come medico-passeggero, durante una missione di soccorso in montagna), recante condanna della predetta società al pagamento dell'intero massimale di Euro 1.113.500,00 - oltre interessi dalla domanda al saldo - previsto dalla polizza assicurativa per rischio infortuni e morte, stipulata dal vettore INAER Helicopter Italia, con Milano Assicurazioni s.p.a. (successivamente incorporata da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a.), a favore dei passeggeri ed a beneficio degli eventuali eredi.

L'appello proposto da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. era parzialmente accolto dalla Corte d'appello di Venezia, con sentenza in data 28.6.2018 n. 1858.

Il Giudice di seconde cure  riteneva fondata la domanda risarcitoria formulata da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a, in quanto l'accordo transattivo, stipulato tra il danneggiato e Generali Seguros Espana s.a. - che assicurava la responsabilità civile verso terzi del vettore aereo -, e dalla quale lo S. aveva ricevuto la somma di Euro 450.000,00 rilasciando liberatoria, in favore di INER Helicopter Italia s.p.a., da ogni ulteriore pretesa risarcitoria avanzata anche ai sensi dell'art. 1916 c.c., aveva definitivamente pregiudicato il diritto di surrogazione di UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. verso il vettore terzo responsabile. Conseguentemente, accertato l'ammontare del danno subito da UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. in misura pari all'importo che era stato corrisposto al danneggiato dall'assicuratore spagnolo del terzo civilmente responsabile, ed escludendo l'applicabilità al caso di specie della "compensatio lucri cum damno", il Giudice di appello ha condannato lo S. a risarcire alla società assicurativa l'importo di Euro 450.000,00 oltre interessi legali dalla data dell'atto di transazione al saldo, provvedendo a regolare le spese dell'intero giudizio.

Sostiene il ricorrente principale che la Corte territoriale, affermando il diritto di surrogazione della società assicurativa, avrebbe erroneamente applicato al contratto di assicurazione "contro gli infortuni (anche) mortali", la disciplina propria del contratto di assicurazione "contro i danni", non tenendo conto che, nella bipartizione funzionale del tipo negoziale prevista dal codice civile - tra assicurazione con causa indennitaria di tipo risarcitorio ed assicurazione con causa previdenziale e di risparmio: art. 1882 c.c. -, l'art. 1916 c.c., comma 4, collocato sotto il Capo XX nella Sezione II, intitolata "Dell'assicurazione contro i danni", limitava la estensione delle disposizioni di cui ai precedenti commi del medesimo articolo esclusivamente alle "assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali". Pertanto soltanto alle assicurazioni che coprivano tali rischi, e cioè, più esattamente, alle assicurazioni contro gli "infortuni non mortali", poteva trovare applicazione il "principio indennitario" (art. 1910 c.c., comma 3 e art. 1916 c.c., comma 1), e non anche alle assicurazioni "contro gli infortuni mortali" che rimanevano assoggettate, invece, alla disciplina delle "assicurazioni sulla vita" ed in particolare all'art. 1920 c.c., comma 3, norma che, distinguendo tra assicurato e terzo beneficiario, sottraeva quest'ultimo alla sfera di incidenza diretta delle conseguenze pregiudizievoli derivanti dall'infortunio, attribuendogli per effetto della "designazione" - effettuata o nella stipula della polizza a suo favore, ovvero nella dichiarazione successiva comunicata all'Assicuratore, o ancora nel testamento - un diritto di credito "proprio" a ricevere la somma prevista in contratto al verificarsi dell'evento-infortunio mortale.

3.2 Il motivo è fondato.

La questione della collocazione sistematica, nell'ambito della dicotomia del tipo negoziale disciplinata dal Codice civile (e precipue dall'art. 1882 c.c., che distingue tra causa indennitaria, obbligandosi l'Assicuratore a "rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro"; e causa di capitalizzazione o risparmio - id est di investimento finanziario -, obbligandosi l'Assicuratore "a pagare un capitale od una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana"), dei contratti di assicurazione infortuni invalidanti o mortali, è risalente ed è stata oggetto di ampio dibattito, avendo fornito le contrapposte opinioni dottrinali argomenti a sostegno e decise critiche, rispettivamente, a favore od a sfavore dell'assimilazione di tale polizza a quelle relative al "rischio-danni", ovvero a quelle relative al "rischio-vita".

La giurisprudenza di legittimità, dopo un iniziale propensione - determinata soprattutto dalla considerazione della natura del "bene vita" compromesso dall'evento-rischio infortunio - alla inclusione della fattispecie negoziale nel tipo dei contratti di "assicurazione sulla vita", è venuta, successivamente, ad accentuare progressivamente l'elemento della funzione solidaristica, che emergeva dalla rilevazione della prassi, in quanto il capitale attribuito ai beneficiari-familiari, interveniva molto spesso a soccorrere alle loro esigenze e necessità di sostentamento, insorte a seguito dell'infortunio mortale del congiunto che costituiva l'unica fonte di reddito della famiglia. La valorizzazione di tale aspetto "riparatorio" del "danno" subito dai superstiti-beneficiari, assolto in tali casi dalla prestazione dell'Assicuratore (seppure in modo soltanto indiretto: non trovando corrispondenza il capitale ed il criterio della sua determinazione al momento del pagamento, nella effettiva entità del "danno" corrispondente al valore di mercato od ai valori tabellari, ai quali commisurare il danno di un bene perduto) ha portato vieppiù ad accostare la figura contrattuale in questione alla disciplina propria delle assicurazioni "contro i danni", ovvero anche a procedere "caso per caso" nella individuazione delle norme, relative alle due differenti tipologie negoziali di cui all'art. 1882 c.c., ritenute applicabili od invece escluse dalla regolamentazione dei rapporti assicurativi concernenti il "rischio-infortuni".

I contrasti sono insorti, in particolare, in ordine alla applicazione o meno a tali contratti del "principio cd. indennitario", proprio della disciplina delle "assicurazioni contro i danni" (e che trova chiara espressione - ma non solo: art. 1905 c.c., comma 1, art. 1909 c.c., comma 2 - nell'art. 1910 c.c., comma 3), secondo cui l'assicurato non può locupletare dall'adempimento della obbligazione indennitaria dell'Assicuratore - quando anche avesse pattuito un massimale più elevato - un risultato che lo ponga in una situazione patrimoniale più vantaggiosa di quella in cui versava precedentemente alla verificazione dell'evento-rischio, non potendo in ogni caso eccedere l'indennizzo pagato dall'Assicuratore il valore patrimoniale del bene perduto a seguito dell'evento dannoso. Principio indennitario che trova applicazione pure nel caso in cui plurimi obbligati siano tenuti, anche per titoli diversi, ad adempiere, nei confronti dello stesso soggetto danneggiato, alla obbligazione risarcitoria del medesimo danno: unico essendo, infatti, il danno da risarcire, le prestazioni per equivalente eseguite dai singoli obbligati non potranno eccedere cumulativamente il valore patrimoniale corrispondente alla perdita subita.

Questa Corte, chiamata a risolvere la questione della applicabilità alle polizze infortuni dell'art. 1910 c.c., nel comporre il contrasto giurisprudenziale, è quindi pervenuta ad affermare che i contratti di assicurazione infortuni "invalidanti e mortali", rivelano la presenza di caratteristiche ambivalenti, in quanto riconducibili a quelle proprie di ciascuna delle categorie generali del "ramo danni" e del "ramo vita" (Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 5119 del 10/04/2002: evidenzia la difficoltà di collocare sistematicamente la polizza infortuni in una delle due categorie previste dall'art. 1882 c.c., relative al "danno ad esso (ndr. assicurato) prodotto da un sinistro" ed "al verificarsi di un evento attinente alla vita umana", in quanto "la definizione normativa, che si ricollega alla tradizionale bipartizione delle assicurazioni, poichè nella prima parte si riferisce all'assicurazione contro i danni e nella seconda all'assicurazione sulla vita, consente di affermare che la prima, in quanto considera il danno prodotto all'assicurato ("ad esso prodotto"), senza ulteriori precisazioni, non è solo assicurazione di cose o di patrimoni, ma è suscettiva di ricomprendere anche i danni subiti dalla persona dell'assicurato per effetto di infortunio, così caratterizzandosi (anche) come assicurazione di persone, e, per altro verso, che l'assicurazione sulla vita non esaurisce l'ambito delle assicurazioni di persone, inglobando anche l'assicurazione contro gli infortuni, poichè la disgrazia accidentale (non produttiva di morte) non costituisce evento attinente alla vita umana, tale essendo solo la morte, bensì evento attinente alla persona.."), ciò che non consente, pertanto, di individuare nella fattispecie negoziale in questione (polizza infortuni), un "contratto cd. misto" regolato dalle norme del tipo prevalente, non soccorrendo a dirigere la scelta di prevalenza la mera identificazione del "rischio" per mezzo della nozione di "infortunio", inteso anche come "disgrazia accidentale" e cioè, secondo una definizione ormai tralatizia e consolidata, come un evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna, che produce lesioni fisiche oggettivamente constatabili, le quali abbiano per conseguenza la morte, una invalidità permanente oppure una inabilità temporanea della persona. La oggettiva inapplicabilità del criterio di prevalenza della disciplina del tipo negoziale, ha quindi imposto di ravvisare nella "assicurazione contro gli infortuni" la compresenza di distinte cause negoziali contenute in un unico contratto, dovendosi al proposito distinguere, nell'ambito della medesima polizza, l'infortunio produttivo di "menomazione invalidante" della persona, da ricondurre allo schema della polizza assicurativa "contro i danni", da quello, invece, dal quale è derivato l'"evento letale", da assoggettare alla disciplina tipica delle "polizze vita" (stipulate per il "caso vita" o per il "caso morte"), in quanto anche nella assicurazione infortuni mortali "viene in considerazione un rischio che è tipico dell'assicurazione sulla vita: il rischio assicurato, ancorchè collegato ad una specifica causa (l'infortunio), è infatti pur sempre costituito dalla morte, e cioè da un evento attinente alla vita umana, e non alla persona, come l'infortunio invalidante. Inoltre, beneficiario dell'indennizzo non è l'assicurato, sul quale incide l'evento morte, ma un terzo, come nell'assicurazione sulla vita...").

Il criterio discretivo fornito dalla sentenza delle Sezioni Unite si incentra, pertanto, sulla individuazione del diverso bene attinto dall'evento-rischio "infortunio", dovendo tenersi distinto il "bene-vita" dal "bene-salute", nonchè dal differente interesse che conduce l'assicurato alla stipula della polizza, avuto riguardo anche alla direzione soggettiva della prestazione cui è tenuto l'assicuratore, non essendo invece possibile desumere dalla sola caratteristica del fenomeno lesivo-infortunio in sè considerato ("evento dovuto a causa fortuita, violenta ed esterna") alcuna utile indicazione in ordine alla scelta della disciplina normativa codicistica del tipo negoziale da applicare all'assicurazione degli infortuni (anche) mortali.

3.3 Le conclusioni raggiunte dalla sentenza del 2002 delle Sezioni Unite, che distingue tra "infortunio-morte" (lesione della vita) ed "infortunio-invalidità biologica" (lesione della salute), non sono state, peraltro, disattese o poste in discussione dalla successiva disciplina dettata dal Codice delle Assicurazioni Private, approvato con D.Lgs. 7 settembre 2005, n. 209, che, all'art. 2, distingue i rami assicurativi, riconducibili rispettivamente alle "assicurazioni sulla vita" ed alle "assicurazioni contro i danni".
"Deve essere condiviso il principio affermato da questa Corte secondo cui "nel caso di assicurazione sulla vita, l'indennità si cumula con il risarcimento, perchè si è difronte ad una forma di risparmio posta in essere dall'assicurato sopportando l'onere dei premi, e l'indennità, vera e propria contropartita di quei premi, svolge una funzione diversa da quella risarcitoria ed è corrisposta per un interesse che non è quello di beneficiare il danneggiante" (Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 12564 del 22/05/2018, in motivazione, paragr. 3.7, - seguita dalle conformi sentenze nn. 1265-1267 pubblicate tutte nella stessa data - che ha escluso la detraibilità, dal risarcimento del danno patrimoniale, del valore capitale della pensione di reversibilità accordata dall'Inps al familiare superstite in conseguenza della morte del congiunto, trattandosi di una forma di tutela previdenziale connessa ad un peculiare fondamento solidaristico e non geneticamente connotata dalla finalità di rimuovere le conseguenze prodottesi nel patrimonio del danneggiato per effetto dell'illecito del terzo; id. Sez. 3 -, Ordinanza n. 15870 del 13/06/2019, id. Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 26647 del 18/10/2019 che, ai fini del diffalco, richiedono anche la coincidenza delle voci di danno risarcite).
3.8 Da tali premesse consegue la risoluzione della questione sottoposta all'esame del Collegio: se infatti l'assicuratore del "ramo vita" con l'adempiere alla obbligazione derivante dalla polizza, attribuendo la somma prevista - in forma di capitale o rendita - al beneficiario, non soddisfa alcun credito risarcitorio vantato da quest'ultimo neì confronti del terzo responsabile del danno, prescindendo la prestazione dell'assicuratore dalla esistenza e dalla entità del pregiudizio subito dal beneficiario derivante dall'atto illecito, viene meno la stessa possibilità di attuazione del meccanismo surrogatorio, non essendo l'assicuratore chiamato ad adempiere "a causa" dell'illecito, ma "a causa" dell'evento della morte dell'assicurato, e cioè della verificazione del rischio oggetto della polizza.

Ed infatti: a) l'assicurazione contro gli infortuni mortali, deve ricondursi al tipo negoziale della assicurazione sulla vita, in relazione alla quale non trovano applicazione le norme che disciplinano l'assicurazione "contro i danni" (in cui invece debbono ricomprendersi le polizze infortuni non mortali), tra cui l'art. 1916 c.c.; b) la polizza in esame risulta essere stata stipulata dal contraente INAER sulla vita degli assicurati, venendo soddisfatto l'interessi di questi ad attribuire, in caso di decesso derivato da infortunio, un capitale ai soggetti designati come beneficiari; c) la funzione causale evidenziata dalla polizza prescinde da ogni collegamento tra la prestazione dovuta dall'assicuratore al verificarsi dell'evento-rischio, ed un preesistente fatto illecito produttivo di un danno risarcibile cagionato ai soggetti beneficiari, risultando inapplicabile, pertanto, il "principio cd. indennitario" che informa la disciplina delle assicurazioni del ramo danni (artt. 1905, 1910, 1914 e 1916 c.c.) e di cui è espressione il principio della cd. "compensatio lucri cum damno"; d) la assenza di una funzione cd. indennitaria, non ravvisabile nella prestazione erogata al beneficiario dalla società UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a., e dunque la mancanza di sovrapponibilità, totale o parziale, di detta prestazione con la diversa prestazione risarcitoria dovuta al danneggiato da INAER, esclude nella specie, in difetto di applicazione delle disposizioni di cui all'art. 1916 c.c., non estendibili al di fuori dei rapporti assicurativi concernenti il "ramo danni", che con l'adempimento dell'obbligazione prevista in polizza a favore del beneficiario si sia realizzato un meccanismo di tipo surrogatorio, non essendo subentrata la società assicurativa nel credito del danneggiato avente titolo nell'illecito che continua a gravare per l'intero sull'autore del danno indipendentemente dalle vicende connesse alla attuazione del rapporto assicurativo derivante da polizza contro gli infortuni mortali, regolata dalla disciplina normativa delle assicurazioni del "ramo vita"; e) attesa la totale autonomia del rapporto assicurativo tra UNIPOLSAI Ass.ni s.p.a. ed il beneficiario, rispetto al rapporto concernente la responsabilità civile tra gli eredi del de cuius ed INAER, ne segue che la stipula dell'atto di transazione tra i danneggiati e l'autore del danno non ha integrato alcuna lesione del diritto di surrogazione, non potendo derivare dall'atto transattivo con effetti liberatori del debitore alcuna responsabilità del beneficiario ai sensi dell'art. 1916 c.c., comma 3.
Autore: Webmaster Italiaonline 20 agosto 2024
« Nulla è più dolce dell’amore, ogni altra felicità gli è seconda; dalla bocca sputo anche il miele. Così dice Nosside; solo chi non è amato da Cipride ignora quali rose siano i suoi fiori. » Frammenti di Nosside in Antologia Palatina, libro V, 170 Meleagro di Gadara.  L’Enciclopedia Italiana ha selezionato il termine “femminicidio ” quale parola dell’anno 2023, nell’ambito della campagna di comunicazione #leparolevalgono. “ Come Osservatorio della lingua italiana – spiega infatti Va l e r i a D e l l a Va l l e , c o d i r e t t r i c e scientifica del “Vocabolario Treccani” – non ci occupiamo della ricorrenza e della frequenza d’uso della parola “femminicidio” in termini quantitativi, ma della sua rilevanza dal punto di vista socioculturale: quanto è presente nell’uso comune, in che misura ricorre nella stampa e nella saggistica? Purtroppo, nel 2023 la sua presenza si è fatta più rilevante, fino a configurarsi come una sorta di campanello d’allarme che segnala, sul piano linguistico, l’intensità della discriminazione di genere ”. Ebbene, a febbraio 2024, il Parlamento Europeo e gli Stati dell’Unione hanno raggiunto l’accordo sulla Direttiva Europea sulla violenza di genere, la prima legge europea che si occupa della materia. L'obiettivo è di rendere omogenea la lotta alla violenza sessista nell'Unione Europea, eliminando e superando normative distanti e disparate fra di loro, vigenti fra i vari Stati. Rappresenta una pietra miliare, perché è il primo strumento giuridico, completo a livello UE, destinato a contrastare la violenza contro le donne. La futura Direttiva si occuperà di cyberbullismo, incitamento all'odio online e violenza, matrimonio forzato, mutilazione genitale, violenza informatica, molestie sessuali attraverso mezzi digitali. Comprenderà un elenco di circostanze aggravanti; l'intento è di punire le violenze effettuate per motivi di orientamento sessuale, genere, colore della pelle, religione, origine sociale, convinzioni politiche, oppure per preservare o ripristinare " onore" ; sono miglioratele procedure per la sicurezza e la salute delle vittime, una migliore attività di segnalazione, prevenzione e raccolta di prove da parte delle autorità. Rappresenta tuttavia una grave lacuna della Direttiva l’esclusione della sua applicazione alle donne migranti. Ulteriore perplessità è costituita dal fatto che non includerà uno dei reati più gravi, ossia lo stupro, il fatto più violento alla persona e alla libertà delle donne. Il mancato inserimento dipende da una serie di fattori che la Commissione Europea ha tentato di dirimere. Infatti, a marzo 2022, la Commissione europea aveva formulato la proposta di definire la violenza sessuale, identificandola quale rapporto in assenza del consenso. Quindi qualsiasi rapporto sessuale non concordato sarebbe stato tipizzato come stupro; le vittime sarebbero state agevolate dal punto di vista processuale, in quanto non avrebbero dovuto fornire la prova che fosse stata utilizzata la forza, la minaccia o la coercizione. Alcuni paesi già hanno adottato, in ambito nazionale, la definizione del reato quale rapporto basato sulla mancanza di consenso. Diversi paesi, anzi ben 14, si sono opposti ad una simile definizione. La Germania e la Francia sostengono che la materia specifica appartiene alla potestà legislativa penale nazionale e non è fra quelle delegate all'Unione. La Polonia e l'Ungheria sono ideologicamente contrari al fatto che il consenso possa costituire la base per la distinzione o meno del rapporto lecito dall'illecito. La domanda chiave è su “ cosa o come” intendere il rapporto consensuale. Secondo alcune correnti del femminismo, “ il consenso è impossibile ”. La disuguaglianza di potere tra uomini e donne è così grande che, di fatto, ogni accordo è viziato a livello del sistema sociale. Finché ci sarà disuguaglianza di potere ci sarà violenza. La libertà di una delle parti, quella delle donne, è un’apparenza. Il rapporto diventa un obbligo, in quanto in una società patriarcale si vive male e con alibi. Si tratta di una visione autoritaria, manichea, e come tale è inaccettabile. Secondo altre teorie il consenso è possibile e, per di più, dovrebbe essere obbligatorio, affermativo, esplicito. Da un lato propone che “ il consenso non è impossibile, ma è difficile ”, per cui bisognerebbe “assicurarsi” che la donna esprima un chiaro “ sì ” oppure un “ No ” è no” , ma ciò non appare accettabile in quanto immergerebbe il rapporto in una visione di tipo contrattualistico, lontana dalla realtà effettuale. Secondo altri il “ consenso è molto facile .” Basta sapere cosa vogliamo e verbalizzarlo. Quanto più inequivocabile è questa espressione positiva della volontà di fare sesso, tanto meglio è. Non dobbiamo prestare attenzione solo alla volontà, ma anche al desiderio. Anche questa teoria appare non recepibile, in quanto collega la volontà al desiderio, come se il desiderio fosse sempre trasparente e intelligibile e, invece, non abbia momenti di ambiguità, per cui un “no”, molte volte è un ”sì”. Il consenso può essere non necessariamente entusiastico e anche non esplicito, ma certamente è delimitato dall’area legale e penale, per cui se non c'è volontà e non c’è consenso, allora si tratta di violenza; altro limite è rappresentato dall’etica, per cui se manca la volontà perché c’è stata un’incomprensione, un errore, manca il sentimento fra amanti, ma non c’è aggressione, intimidazione, allora non è un crimine. La direttiva costituisce un traguardo nella lotta alla violenza di genere, ma dimostra la persistenza di una mentalità passata e contraddittoria, in quanto la stessa Convenzione di Istanbul , adottata da quasi tutti gli Stati Europei, all'art. 36, comma 1 lett. a, obbliga gli Stati firmatari ad adottare misure legislative per perseguire penalmente i responsabili dei comportamenti intenzionali, fra cui lo stupro, definito come "atto sessuale non consensuale". Ebbene, dopo la ratifica del 2013, l’articolo 609-bis c.p. non ha subito modifiche per allinearlo alla Convenzione di Istanbul. In particolare, la sua formulazione non menziona il consenso, rappresentando una vera e propria lacuna giuridica. Sul punto soccorre la giurisprudenza e la dottrina che invece lo considerano come elemento essenziale del reato. La recente sentenza della Corte di Cassazione conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui il consenso debba essere presente al momento dell'atto e, malgrado il comportamento provocatorio, anche durante tutto l'atto sessuale. In precedenza aveva affermato che «l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale»; ne deriva che «ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale, è richiesta la mera mancanza del consenso, non la manifestazione del dissenso, ben potendo il reato essere consumato ai danni di persona dormiente ». Alcune pronunce hanno riconosciuto la configurabilità, in astratto, dell'esimente putativa del consenso nei reati sessuali, come errore fondato sul contenuto espressivo , in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla persona offesa. Il consenso della vittima non vale se erroneamente ipotizzato dall’autore; l’assenza di consenso non vale come sì; il consenso dovrebbe essere esplicito ed inequivocabile. Il richiamo è, quindi, ai valori della nostra Carta Costituzionale, alla parità di genere, all’educazione e al rispetto reciproco della dignità umana, quale base per le relazioni umane. BIBLIOGRAFIA Il termine " femminicidio " deriva dall’unione del sostantivo femminile “femmina” a cui è aggiunto il suffisso “cidio”, similmente a omicidio, deicidio, regicidio, ecc. Secondo l’Accademia della Crusca, il femminicidio consiste nel “provocare la morte di una donna, bambina o adulta, da parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, in conseguenza del mancato assoggettamento fisico o psicologico della vittima”. https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/femminicidio-i-perche-di-una-parola/803. https://www.treccani.it/magazine/atlante/societa/femminicidio-e-la-parola-dell-anno-2023.html . Secondo la Platform for undocumented migrants (Picum), una ong con base in Belgio che promuove il rispetto dei diritti umani dei migranti senza documenti in Europa, ha denunciato la cancellazione delle norme che avrebbero protetto le donne migranti, in particolare coloro senza documenti o con un permesso di soggiorno temporaneo. Clara Serra, “Il senso del consenso”, Nuevos cuadernos Anagrama, 2024; intervista su https://youtu.be/AuCIVgPY1 La Convenzione è stata ratificata in Italia con la legge del 27/6/2013 n.77. Invece il decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119, è la prima "legge contro il femminicidio", così nel suo preambolo: "il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti volti a inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica". Corte di Cassazione, Sezione Penale n. 32447 del 26 luglio 2023: «integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona». Cassazione Penale, Sez. III, 10 maggio 2023 (ud. 19 aprile 2023), n. 19599 “In tema di violenza sessuale, il dissenso della vittima costituisce un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice e, 8 pertanto, il dubbio o l'erroneo convincimento della sua sussistenza investe la configurabilità del fatto - reato e non la verifica della presenza di una causa di giustificazione (Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018, Rv. 274417). Il dissenso, quale elemento oggettivo della fattispecie, deve vertere sugli atti sessuali e consiste in un fenomeno di natura psichica che concerne lo stato soggettivo del soggetto passivo, non quello del soggetto attivo del reato. Da ciò deriva che il dissenso è fuori dalla valutazione degli elementi soggettivi del reato e quindi del dolo. Diversa invece è la valutazione in ordine alla coscienza e alla volontà della condotta da parte del soggetto autore del delitto. Nel reato di violenza sessuale, la coscienza di costringere la persona offesa a compiere o a subire un atto sessuale si manifesta innanzitutto nella consapevolezza del dissenso di questa. Pertanto, l'errore sul dissenso, che esclude il dolo ai sensi dell'art. 47 cod. pen., consiste nell'errore sul valore sintomatico delle manifestazioni esterne di resistenza all'atto sessuale poste in essere dalla persona offesa. Trattandosi di un errore sul fatto, è necessario che il soggetto, che ha agito presupponendo una realtà diversa da quella effettiva, debba dare pienamente conto degli elementi fattuali che hanno determinato in lui, nonostante l'uso della normale diligenza, l'erroneo convincimento dell'esistenza del consenso”. Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 06/12/2023) 05/03/2024, n. 9316. Articolo estratto da “L’Eco Giuridico" n. 4 de1 8/04/2024- Centro Studi Zaleuco Locri
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 3 dicembre 2023
Dalle visure catastali spesso è visibile l'esistenza di un livello, ossia la concessione in godimento di un terreno a fronte del pagamento di un corrispettivo annuo. Si tratta di un istituto risalente al diritti romano e che ha avuto grande applicazione in periodo medievale. In particolare i grandi proprietari terrieri (Comune, Chiesa, Nobiltà) costituivano sui loro terreni degli oneri a favore degli affittuari. Oggi sebbene in molti atti sia constatabile, i rispettivi titolari da tempo non lo esercitano, e non ritengono di essere vincolati. Ebbene, in un'ipotesi di contestazione sulla validità dell'iscrizione, è intervenuta la Cassazione, che ha così statuito: " il regime giuridico del livello va assimilato a quello dell'enfiteusi, in quanto i due istituti, pur se originariamente distinti, finirono in prosieguo per confondersi ed unificarsi, dovendosi, pertanto, ricomprendere anche il primo, al pari della seconda, tra i diritti reali di godimento. L'esistenza del livello deve essere accertata mediante il titolo costitutivo del diritto o l'atto di ricognizione, mentre deve escludersi rilievo ai dati catastali " .
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 3 dicembre 2023
Te, dei miti pensieri, La blandizie non tocca; altri cerchi le care Dolcezze onde si rallegra di bimbi il focolare, Da Tali gioe rifugge il focolare. Tu sei forte e selvaggia, come il vento che rugge Nella tua valle. Tutto hai quanto brami. Giacosa , “Il trionfo d'amore”, atto 2 scena 11, Treves 1934
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