Gomitate, scorrettezze e falli nel calcio amatoriale.

Durante una partita di calcio amatoriale, un giocatore subisce un violento trauma a seguito di una gomitata ricevuta da un avversario, riportando gravi conseguenze fisiche.
Sempre più spesso i giudici sono chiamati ad occuparsi di incresciose scorrettezze avvenute durante le azioni di gioco.

Ebbene chi pratica sport ha l'obbligo di comportarsi sempre con lealtà e prudenza nell'osservanza del regolamento sportivo; l'agonismo deve essere sempre rispettoso dell’integrità fisica dell'avversario, essendo l’attività sportiva tutelata da norme nazionali e internazionali

Quotidianamente assistiamo alle discussioni sulla natura del fallo, da rigore o meno, senza che nessuno dei calciatori si faccia male.
Succede pure che qualche giocatore riporti lesioni in conseguenza di un intervento falloso; l'arbitro applica, in tali casi, la sanzione prevista dal regolamento sportivo, ossia la punizione, accompagnata o meno dall'ammonizione o espulsione.
Se la condotta si mantiene nel limite dell'agonismo sportivo e non sussiste una condotta dolosa o colposa, l'avversario falloso non può essere ritenuto responsabile dei danni in sede penale e civile; il fatto rimane circoscritto alla competenza del giudice sportivo.

Quando invece l'azione di gioco, cagionante le lesioni, è stata commessa con dolo o colpa, il giocatore può essere chiamato a rispondere di lesioni personali dinanzi al giudice civile e a quello penale.

Recentemente la Cassazione civile, con la sentenza n. 30522/2019,  si è occupata di lesioni riportate nel corso di una partita, ritenendo il fatto non penalmente rilevante perché commesso senza dolo o colpa.

Si riporta un breve stralcio della sentenza.

<<Il ricorrente espone di avere agito nei confronti di D.F., ritenendolo responsabile del delitto di lesioni personali a suo danno consistite in una violenta gomitata al capo nel corso di una partita di calcio amatoriale che gli aveva causato un trauma cranico ed una violenta crisi epilettica.

Il Tribunale penale di Ravenna e la Corte d'Appello di Bologna avevano ritenuto che non vi fossero elementi sufficienti per accertare una responsabilità penale a titolo di dolo o di colpa a carico di D.F., non potendo considerarsi oltre il ragionevole dubbio che egli avesse saltato scompostamente per conseguire illecitamente un obiettivo agonistico.

La Corte di Cassazione penale, investita del gravame dall'odierno ricorrente costituitosi parte civile, annullava la sentenza d'appello ai soli effetti civili per omesso accertamento della sussistenza di una responsabilità civile per fatto colposo con conseguente rinvio al giudice competente in grado d'appello.

La Corte d'appello, nella sentenza qui impugnata, rigettava la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, in quanto la condotta scorretta era "contenuta nell'alveo dell'agonismo sportivo" e non risultava connotata da responsabilità per assenza di dolo o colpa>>.


In un'altra fattispecie di condotta scorretta, mentre il gioco era fermo, il Tribunale di Trento ha ritenuto sussistenti le lesioni, condannando l'autore per la condotta scorretta.

In particolare il Giudice scrive:

<<Il giocatore autore dell'evento lesivo, che sia stato però rispettoso delle regole del gioco, del dovere di lealtà nei confronti dell'avversario e dell'integrità fisica di costui, certamente non sarà perseguibile penalmente, perché non può dirsi superata, in siffatta situazione, la soglia del "rischio consentito", soglia che non può dirsi superata neppure nel caso d'involontaria violazione di disposizioni regolamentari di gioco dovute alla foga agonistica, in quanto è dato di comune esperienza che nel corso di una gara l'ansia di risultato, la stanchezza fìsica e la carica agonistica, talvolta eccessiva, possono comportare delle violazioni non volontarie del regolamento di gara.

Laddove però il fatto lesivo si verifichi perché il giocatore viola volontariamente le regole del gioco, disattendendo i doveri di lealtà verso l'avversario, (che, invece, dovrebbero costituire la caratteristica essenziale di ogni sportivo), allora il fatto non potrà rientrare nella causa di giustificazione, ma sarà penalmente perseguibile.

Se il fatto si verifichi nel corso di un'azione di gioco al fine di impossessarsi del dischetto o di impedire che l'avversario ne assuma il controllo ed il mancato rispetto delle regole del gioco sia, in realtà, volontario e non casuale, dovuto presumibilmente alla volontà di raggiungere il risultato ad ogni costo, e quindi anche violando le regole del gioco, certamente il fatto avrà natura colposa.

Una responsabilità per dolo sarà, invece, ravvisabile quando la gara sia soltanto l'occasione dell'azione volta a cagionare l'evento, oppure quando il comportamento posto in essere dal giocatore autore del fatto lesivo non sia immediatamente rivolto all'azione di gioco, ma piuttosto ad intimorire l'antagonista, a dissuaderlo dall'opporre un qualsiasi contrasto ovvero, più semplicemente, a punirlo per precedenti contrasti (casi deplorevoli che purtroppo non sono infrequenti, anche sui campi di calcio)

In questi casi, com'è evidente, la condotta dell'agente fuoriesce dagli schemi tipici del gioco, e la violazione delle regole non è diretta in via immediata al compimento di un'azione di gioco, ma al perseguimento di altri fini del tutto estranei alla competizione o - nel caso dell'intimidazione o della ritorsione - comunque illeciti.

Si tratta, infatti, di comportamenti che nulla hanno a che fare con la pratica sportiva, con l'agonismo e con la lealtà verso gli avversari, che sempre devono contraddistinguere chi pratichi un'attività sportiva>>.
Tribunale di Trento, sentenza del 15/10/2014.

Pertanto non sussiste la causa giustificazione dell'esercizio di attività sportiva qualora un calciatore colpisca un avversario fratturandogli il setto nasale nel momento in cui l'arbitro assegni un calcio di punizione, atteso che, in tale fase, non essendo ammesso il gioco attivo di squadra, ancorché singoli calciatori possano trovarsi in movimento per organizzare il tiro, il gioco deve ritenersi fermo e, pertanto, l'azione antidoverosa non può risultare funzionale all'attività agonistica in atto, ma si palesa come una vera aggressione del tutto indipendente dalla dinamica del gioco. (Cass. pen., sez. V, 7 febbraio 2008, n. 10734, CED 239475; anche Cass. pen., sez. IV, 28 aprile 2010, n. 20595, CED 247342).

Con una successiva sentenza, Cass n.42114/2011, ha statuito come la condotta del calciatore che, durante lo svolgimento di una gara, sferri un pugno all'avversario al di fuori dell'azione di gioco, che si sta sviluppando in un'altra zona del campo, integri il delitto di lesioni dolose, non ricorrendo in tal caso la scriminante dell'esercizio dell'attività sportiva.
Autore: Webmaster Italiaonline 20 agosto 2024
« Nulla è più dolce dell’amore, ogni altra felicità gli è seconda; dalla bocca sputo anche il miele. Così dice Nosside; solo chi non è amato da Cipride ignora quali rose siano i suoi fiori. » Frammenti di Nosside in Antologia Palatina, libro V, 170 Meleagro di Gadara.  L’Enciclopedia Italiana ha selezionato il termine “femminicidio ” quale parola dell’anno 2023, nell’ambito della campagna di comunicazione #leparolevalgono. “ Come Osservatorio della lingua italiana – spiega infatti Va l e r i a D e l l a Va l l e , c o d i r e t t r i c e scientifica del “Vocabolario Treccani” – non ci occupiamo della ricorrenza e della frequenza d’uso della parola “femminicidio” in termini quantitativi, ma della sua rilevanza dal punto di vista socioculturale: quanto è presente nell’uso comune, in che misura ricorre nella stampa e nella saggistica? Purtroppo, nel 2023 la sua presenza si è fatta più rilevante, fino a configurarsi come una sorta di campanello d’allarme che segnala, sul piano linguistico, l’intensità della discriminazione di genere ”. Ebbene, a febbraio 2024, il Parlamento Europeo e gli Stati dell’Unione hanno raggiunto l’accordo sulla Direttiva Europea sulla violenza di genere, la prima legge europea che si occupa della materia. L'obiettivo è di rendere omogenea la lotta alla violenza sessista nell'Unione Europea, eliminando e superando normative distanti e disparate fra di loro, vigenti fra i vari Stati. Rappresenta una pietra miliare, perché è il primo strumento giuridico, completo a livello UE, destinato a contrastare la violenza contro le donne. La futura Direttiva si occuperà di cyberbullismo, incitamento all'odio online e violenza, matrimonio forzato, mutilazione genitale, violenza informatica, molestie sessuali attraverso mezzi digitali. Comprenderà un elenco di circostanze aggravanti; l'intento è di punire le violenze effettuate per motivi di orientamento sessuale, genere, colore della pelle, religione, origine sociale, convinzioni politiche, oppure per preservare o ripristinare " onore" ; sono miglioratele procedure per la sicurezza e la salute delle vittime, una migliore attività di segnalazione, prevenzione e raccolta di prove da parte delle autorità. Rappresenta tuttavia una grave lacuna della Direttiva l’esclusione della sua applicazione alle donne migranti. Ulteriore perplessità è costituita dal fatto che non includerà uno dei reati più gravi, ossia lo stupro, il fatto più violento alla persona e alla libertà delle donne. Il mancato inserimento dipende da una serie di fattori che la Commissione Europea ha tentato di dirimere. Infatti, a marzo 2022, la Commissione europea aveva formulato la proposta di definire la violenza sessuale, identificandola quale rapporto in assenza del consenso. Quindi qualsiasi rapporto sessuale non concordato sarebbe stato tipizzato come stupro; le vittime sarebbero state agevolate dal punto di vista processuale, in quanto non avrebbero dovuto fornire la prova che fosse stata utilizzata la forza, la minaccia o la coercizione. Alcuni paesi già hanno adottato, in ambito nazionale, la definizione del reato quale rapporto basato sulla mancanza di consenso. Diversi paesi, anzi ben 14, si sono opposti ad una simile definizione. La Germania e la Francia sostengono che la materia specifica appartiene alla potestà legislativa penale nazionale e non è fra quelle delegate all'Unione. La Polonia e l'Ungheria sono ideologicamente contrari al fatto che il consenso possa costituire la base per la distinzione o meno del rapporto lecito dall'illecito. La domanda chiave è su “ cosa o come” intendere il rapporto consensuale. Secondo alcune correnti del femminismo, “ il consenso è impossibile ”. La disuguaglianza di potere tra uomini e donne è così grande che, di fatto, ogni accordo è viziato a livello del sistema sociale. Finché ci sarà disuguaglianza di potere ci sarà violenza. La libertà di una delle parti, quella delle donne, è un’apparenza. Il rapporto diventa un obbligo, in quanto in una società patriarcale si vive male e con alibi. Si tratta di una visione autoritaria, manichea, e come tale è inaccettabile. Secondo altre teorie il consenso è possibile e, per di più, dovrebbe essere obbligatorio, affermativo, esplicito. Da un lato propone che “ il consenso non è impossibile, ma è difficile ”, per cui bisognerebbe “assicurarsi” che la donna esprima un chiaro “ sì ” oppure un “ No ” è no” , ma ciò non appare accettabile in quanto immergerebbe il rapporto in una visione di tipo contrattualistico, lontana dalla realtà effettuale. Secondo altri il “ consenso è molto facile .” Basta sapere cosa vogliamo e verbalizzarlo. Quanto più inequivocabile è questa espressione positiva della volontà di fare sesso, tanto meglio è. Non dobbiamo prestare attenzione solo alla volontà, ma anche al desiderio. Anche questa teoria appare non recepibile, in quanto collega la volontà al desiderio, come se il desiderio fosse sempre trasparente e intelligibile e, invece, non abbia momenti di ambiguità, per cui un “no”, molte volte è un ”sì”. Il consenso può essere non necessariamente entusiastico e anche non esplicito, ma certamente è delimitato dall’area legale e penale, per cui se non c'è volontà e non c’è consenso, allora si tratta di violenza; altro limite è rappresentato dall’etica, per cui se manca la volontà perché c’è stata un’incomprensione, un errore, manca il sentimento fra amanti, ma non c’è aggressione, intimidazione, allora non è un crimine. La direttiva costituisce un traguardo nella lotta alla violenza di genere, ma dimostra la persistenza di una mentalità passata e contraddittoria, in quanto la stessa Convenzione di Istanbul , adottata da quasi tutti gli Stati Europei, all'art. 36, comma 1 lett. a, obbliga gli Stati firmatari ad adottare misure legislative per perseguire penalmente i responsabili dei comportamenti intenzionali, fra cui lo stupro, definito come "atto sessuale non consensuale". Ebbene, dopo la ratifica del 2013, l’articolo 609-bis c.p. non ha subito modifiche per allinearlo alla Convenzione di Istanbul. In particolare, la sua formulazione non menziona il consenso, rappresentando una vera e propria lacuna giuridica. Sul punto soccorre la giurisprudenza e la dottrina che invece lo considerano come elemento essenziale del reato. La recente sentenza della Corte di Cassazione conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale, secondo cui il consenso debba essere presente al momento dell'atto e, malgrado il comportamento provocatorio, anche durante tutto l'atto sessuale. In precedenza aveva affermato che «l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia, pertanto, in un errore inescusabile sulla legge penale»; ne deriva che «ai fini della consumazione del reato di violenza sessuale, è richiesta la mera mancanza del consenso, non la manifestazione del dissenso, ben potendo il reato essere consumato ai danni di persona dormiente ». Alcune pronunce hanno riconosciuto la configurabilità, in astratto, dell'esimente putativa del consenso nei reati sessuali, come errore fondato sul contenuto espressivo , in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla persona offesa. Il consenso della vittima non vale se erroneamente ipotizzato dall’autore; l’assenza di consenso non vale come sì; il consenso dovrebbe essere esplicito ed inequivocabile. Il richiamo è, quindi, ai valori della nostra Carta Costituzionale, alla parità di genere, all’educazione e al rispetto reciproco della dignità umana, quale base per le relazioni umane. BIBLIOGRAFIA Il termine " femminicidio " deriva dall’unione del sostantivo femminile “femmina” a cui è aggiunto il suffisso “cidio”, similmente a omicidio, deicidio, regicidio, ecc. Secondo l’Accademia della Crusca, il femminicidio consiste nel “provocare la morte di una donna, bambina o adulta, da parte del proprio compagno, marito, padre o di un uomo qualsiasi, in conseguenza del mancato assoggettamento fisico o psicologico della vittima”. https://accademiadellacrusca.it/it/consulenza/femminicidio-i-perche-di-una-parola/803. https://www.treccani.it/magazine/atlante/societa/femminicidio-e-la-parola-dell-anno-2023.html . Secondo la Platform for undocumented migrants (Picum), una ong con base in Belgio che promuove il rispetto dei diritti umani dei migranti senza documenti in Europa, ha denunciato la cancellazione delle norme che avrebbero protetto le donne migranti, in particolare coloro senza documenti o con un permesso di soggiorno temporaneo. Clara Serra, “Il senso del consenso”, Nuevos cuadernos Anagrama, 2024; intervista su https://youtu.be/AuCIVgPY1 La Convenzione è stata ratificata in Italia con la legge del 27/6/2013 n.77. Invece il decreto legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito in legge 15 ottobre 2013, n. 119, è la prima "legge contro il femminicidio", così nel suo preambolo: "il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti volti a inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla anticipata tutela delle donne e di ogni vittima di violenza domestica". Corte di Cassazione, Sezione Penale n. 32447 del 26 luglio 2023: «integra l’elemento oggettivo del reato di violenza sessuale non soltanto la condotta invasiva della sfera della libertà ed integrità sessuale altrui realizzata in presenza di una manifestazione di dissenso della vittima, ma anche quella posta in essere in assenza del consenso, non espresso neppure in forma tacita, della persona offesa, come nel caso in cui la stessa non abbia consapevolezza della materialità degli atti compiuti sulla sua persona». Cassazione Penale, Sez. III, 10 maggio 2023 (ud. 19 aprile 2023), n. 19599 “In tema di violenza sessuale, il dissenso della vittima costituisce un elemento costitutivo della fattispecie incriminatrice e, 8 pertanto, il dubbio o l'erroneo convincimento della sua sussistenza investe la configurabilità del fatto - reato e non la verifica della presenza di una causa di giustificazione (Sez. 3, n. 52835 del 19/06/2018, Rv. 274417). Il dissenso, quale elemento oggettivo della fattispecie, deve vertere sugli atti sessuali e consiste in un fenomeno di natura psichica che concerne lo stato soggettivo del soggetto passivo, non quello del soggetto attivo del reato. Da ciò deriva che il dissenso è fuori dalla valutazione degli elementi soggettivi del reato e quindi del dolo. Diversa invece è la valutazione in ordine alla coscienza e alla volontà della condotta da parte del soggetto autore del delitto. Nel reato di violenza sessuale, la coscienza di costringere la persona offesa a compiere o a subire un atto sessuale si manifesta innanzitutto nella consapevolezza del dissenso di questa. Pertanto, l'errore sul dissenso, che esclude il dolo ai sensi dell'art. 47 cod. pen., consiste nell'errore sul valore sintomatico delle manifestazioni esterne di resistenza all'atto sessuale poste in essere dalla persona offesa. Trattandosi di un errore sul fatto, è necessario che il soggetto, che ha agito presupponendo una realtà diversa da quella effettiva, debba dare pienamente conto degli elementi fattuali che hanno determinato in lui, nonostante l'uso della normale diligenza, l'erroneo convincimento dell'esistenza del consenso”. Cass. pen., Sez. III, Sent., (data ud. 06/12/2023) 05/03/2024, n. 9316. Articolo estratto da “L’Eco Giuridico" n. 4 de1 8/04/2024- Centro Studi Zaleuco Locri
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 3 dicembre 2023
Dalle visure catastali spesso è visibile l'esistenza di un livello, ossia la concessione in godimento di un terreno a fronte del pagamento di un corrispettivo annuo. Si tratta di un istituto risalente al diritti romano e che ha avuto grande applicazione in periodo medievale. In particolare i grandi proprietari terrieri (Comune, Chiesa, Nobiltà) costituivano sui loro terreni degli oneri a favore degli affittuari. Oggi sebbene in molti atti sia constatabile, i rispettivi titolari da tempo non lo esercitano, e non ritengono di essere vincolati. Ebbene, in un'ipotesi di contestazione sulla validità dell'iscrizione, è intervenuta la Cassazione, che ha così statuito: " il regime giuridico del livello va assimilato a quello dell'enfiteusi, in quanto i due istituti, pur se originariamente distinti, finirono in prosieguo per confondersi ed unificarsi, dovendosi, pertanto, ricomprendere anche il primo, al pari della seconda, tra i diritti reali di godimento. L'esistenza del livello deve essere accertata mediante il titolo costitutivo del diritto o l'atto di ricognizione, mentre deve escludersi rilievo ai dati catastali " .
Autore: OPPEDISANO GIUSEPPE 3 dicembre 2023
Te, dei miti pensieri, La blandizie non tocca; altri cerchi le care Dolcezze onde si rallegra di bimbi il focolare, Da Tali gioe rifugge il focolare. Tu sei forte e selvaggia, come il vento che rugge Nella tua valle. Tutto hai quanto brami. Giacosa , “Il trionfo d'amore”, atto 2 scena 11, Treves 1934
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